La dissimulazione dell'io

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Ci sono persone che non dovrebbero avere figli. Non c'è nessun cinismo in questo, semplicemente alcuni non sono in grado di prendersi cura di qualcun altro. Eppure c'è questa sorta di obbligo morale nel farsi una famiglia.

In molti lo fanno per puro e sentito desiderio; una parte per avere la sicurezza di un appoggio per la vecchiaia; gli ultimi solo per eseguire un dovere, anche si vede lontano un miglio che non ne sono all'altezza.

È già difficile crescere se stessi, figuriamoci formare una nuova vita, evitargli di fare i soliti errori, spiegargli i meccanismi che regolano questa società e cercare di non farceli rimanere troppo invischiati. Tutti compiti piuttosto ardui, quando sei tu il primo a esserci affogato nel mezzo.

Sarebbe tutto più semplice se venisse accettato il fatto che non per forza bisogna procreare.

Perché è facile mettere al mondo un figlio e poi non essere mai presente quando questi ha bisogno di te. Si fanno figli che poi si sbolognano all'altro genitore o a terzi perché troppo impegnati a lavorare. Ma non lavorare per mantenerli, ma lavorare perché il lavoro viene al primo posto, perché il successo è l'obiettivo unico, la carriera è la sola gratificazione quindi, in realtà, importa solo mandare avanti se stessi.

Non c'è nulla di male in questo, tranne quando – nonostante ciò – si fanno figli.
Inutile è la scusa che lo si fa per mantenerli, per dar loro una vita migliore: i figli lo sentono. Lo sentono che non ci sei, lo sentono che quando fai tardi al lavoro invece di andare alla loro festa, lo fai perché per te, il tuo lavoro, viene prima. Loro sentono che quando dai di matto per colpa del lavoro, il lavoro è la tua unica priorità.

Passati gli anni, dopo aver lavorato una vita, vedi che i tuoi figli si rifiutano persino di venire a trovarti e ti ritrovi lì che ti domandi come mai, dopo tutto quello che hai fatto per loro. Dopo tutto quello che hai fatto per te stesso.

Ne è valsa la pena?

Ti sei mai domandato, padre, il motivo per cui la nostra famiglia si è spezzata? Forse no: a te interessa solo portare avanti i tuoi progetti, le tue mille cose da fare, la tua lista infinita, in cui i componenti della tua famiglia sono sempre al terzo posto, perché continui a inserire nuovi impegni al punto due. Ogni tanto ti volti indietro a tendere la mano, a chiedere se c'è bisogno d'aiuto. Ma chi lo vuole un aiuto da te? Vai per la tua strada e continua a portare avanti solo il tuo ego, se rimaniamo indietro non è affar tuo. Non più.

Da un mese a questa parte sono molte le volte che mi sono svegliata nel bel mezzo della notte. Continuo a sognare di star litigando con i miei genitori: finalmente gli urlo in faccia tutto quello che ho sempre detestato in loro, tutta la frustrazione dei loro comportamenti, delle scelte che mi hanno fatto diventare ciò che sono. Ma in sogno, solo in sogno.

Nella mia vita non ho mai affrontato la questione, non ho mai alzato la voce anzi, a dire il vero, la voce non l'ho mai nemmeno usata.

Ogni volta che mi sveglio di soprassalto per l'ennesima sfuriata, poi non mi riaddormento più. Continue notti a sbraitare la stessa cosa, a rinfacciare le stesse colpe.

In sogno sembra tutto così facile: le parole escono come massa d'acqua di una diga a cui hanno ceduto gli argini, ma nella realtà non sono in grado di esprimere un concetto di più di tre parole. Rimango nel letto accartocciata su me stessa, frustrata da questa mia limitazione, strozzata dalla mia stessa stupida emotività.

Ora sono in cammino, sono in viaggio da non so quanto. Dal momento in cui il tempo si è fermato non sento più stanchezza, né sonno, né fame. Sono diretta a una meta distante chilometri dal mio punto di partenza.

Se il tempo non fosse fermo, direi che sto camminando da circa tre giorni. Eppure non è mai venuta la notte, né niente si è mosso intorno a me.

Invero, qualcosa si è mosso.

Durante il tragitto, fatto seguendo la normale carreggiata che si percorrerebbe in auto, ho potuto interagire diverse volte. Ho incontrato tanti animali lungo l'asfalto tratteggiato: alcuni mici dallo sguardo spaurito che girovagavano senza meta intorno a delle macchine in procinto di inchiodare; cani esanimi, legati senza pietà a un pezzo di guardrail, che guaivano sommessamente appena mi sentivano arrivare, poi uccelli smarriti su campi nei pressi di cacciatori con fucile in mira, lepri in fuga da volpi immobili e una coppia intrappolata in un'auto in procinto di schiantarsi contro una che aveva imboccato la strada contromano.

Mi sono fermata ad accarezzare i primi, così piccoli e spaventati; poter affondare le mani sulle loro pellicce setose è stata una sensazione di sollievo, sentire le loro fusa una consolazione, avrei voluto portarli con me ma non mi seguivano mai: rimanevano nei pressi della zona a cui erano destinati. Ho provato più volte a slegare i cani, ma la loro corda era sospesa nel tempo. Caritatevoli carezze sono state le uniche cose che ho potuto donargli insieme alla tacita conferma della bestialità degli esseri umani. Gli animali selvatici mi passavano di fianco schivandomi, come nella loro natura, mentre la coppia nell'auto, è stata la cosa più difficile da sostenere.

Appena mi hanno visto arrivare, hanno cominciato a sbraitare e battere sul vetro; mi pregavano di aiutarli, di liberarli, ma sapevo che sarebbe stato inutile. Ho provato ad aprire la portiera ma non sono riuscita nemmeno a sollevare la maniglia: bloccata nel tempo.

La giovane coppia, un uomo e una donna, si dimenava per liberarsi dalle cinture, ma quelle erano come avide radici di edera che tenevano loro incollati ai sedili.

Realizzando l'impossibilità della loro salvezza, hanno cominciato a supplicarmi di salvare i loro figli: sui sedili posteriori, due bambini nei seggiolini erano immobili, statici. I genitori cercavano di raggiungerli, ma le cinture impedivano loro persino di sfiorarli con le dita.

Il più grande, con un dinosauro giocattolo in mano, guardava di fronte a sé in espressione di stupore, forse non aveva ancora capito cosa stava succedendo; il più piccolo era ignaro di tutto, e manteneva un'aria meravigliata diretta verso il finestrino alla sua destra.

È lì che ho capito. Ho capito come funzionano le cose, ho intuito il meccanismo che poi ho rinominato 'il secondo prima di morire'.

"Loro vivranno."

Gliel'ho detto così, senza mezzi termini, al di là del finestrino, ma avevo parlato troppo piano, tanto hanno dovuto smettere di urlare per farmi ripetere.

"Loro vivranno". Non ho avuto il coraggio di guardarli in faccia, ma sapevo che nei loro occhi la disperazione si sarebbe trasformata a breve in consapevolezza.

La donna cominciò a piangere, il suo compagno cercò di abbracciarla ma non ci riuscì: loro sarebbero morti, mentre i loro figli sarebbero sopravvissuti all'impatto. Credo non esista presa di coscienza peggiore di questa.

Mi hanno domandato quando sarebbe successo ma non sapevo rispondere a questo: non so da chi dipenda, quanto duri, come si 'sblocchi' e quando.

Siamo rimasti in stasi per un attimo, tanto che mi è sembrato di essermi uniformata al resto del mondo.

"Parlategli" ho suggerito. "Non so se possono sentirvi, non so se servirà a qualcosa, ma ditegli tutto quello che vorreste dirgli."

Mi hanno guardato con occhi sconvolti, avevano capito ma era chiaro che non lo stavano accettando. Ho incontrato due persone che molto probabilmente appartengono alla prima categoria di genitori. Perché il mondo va sempre nella direzione sbagliata?

Mi sono allontanata, non ho voluto sentire cosa avessero da dire, il mio cuore è già abbastanza in frantumi; non riesco a pensare a cosa proveranno quei due bambini dopo.

Ho raggiunto quindi l'altra macchina, il suo guidatore è immobile. Sopravviverà.

Come cazzo ha potuto entrare in contromano su una superstrada? Chissà cosa proverà nel sapere che ha ucciso due persone; se la giustizia farà il suo corso, se quei bambini da grandi odieranno il mondo per avergli portato via due genitori e avergli donato in cambio dolore fisico e morale.

Sono ancora in cammino in un tempo immobile, ma con delle nozioni in più su cui elucubrare: è incredibile quante altre vite terminino nel tuo stesso secondo.

Il secondo prima di morireМесто, где живут истории. Откройте их для себя