Prologo

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Che Raul

23 settembre 2013

Oramai erano quasi sei mesi che assumevo cocaina. Mi faceva stare bene, niente e nessuno mi faceva sentire come lei. Avevo iniziato per caso, per provare, o forse per dimostrare che anche io, come i miei amici, ero in grado di reggere. Dopo la prima volta, mi sono limitato a rifarlo a qualche festa in compagnia. Il peggio però è arrivato tre mesi fa, quando ho cominciato a sentire il bisogno di drogarmi da solo. Da quella volta, ogni giorno, mi rifornisco da Emanuele, lo spacciatore più affidabile della mia zona. Mi garantisce l'anonimato e soprattutto mi garantisce la mia dose giornaliera . E' diventato un amico più che un pusher.

Dalla prima volta che ho provato, fin ad oggi, ho sempre assunto la cocaina tramite inalazione. Riscaldavo un foglio di alluminio dove erano distribuiti più o meno 0,4 grammi di polvere, ed io non facevo altro che inalarla. Mi avevano spiegato che esistevano vari modi per assumerla, ma di certo quello che ti "faceva salire prima la botta" era proprio questo, ed in effetti nel giro di dieci minuti ero nel mio mondo fantastico. Mi sentivo invincibile, leggero, avrei potuto spaccare il mondo con un dito. Tranne quella sera..

Di solito mi drogavo in casa, al bagno del bar sotto casa, al bagno della discoteca con gli amici, ma quella sera no. Volevo fare una passeggiata, ed essendo in piena estate andai in spiaggia.
Avevo appena staccato da lavoro, presi la mia dose e mi diressi verso il lungomare, mi tolsi le scarpe e cominciai a camminare sulla sabbia. La sentivo sotto i piedi, umida, mi piaceva molto passeggiare in spiaggia la sera dopo il tramonto quando tutti erano oramai a casa.
Stavo camminando a riva quando cominciai a dirigermi verso le sdraio in prima fila di uno stabilimento che sapevo fosse incustodito di notte. Mi sedetti, poggiai sulla sdraio dietro la mia schiena il portachiave che usavo per scambiarmi la merce con Emanuele e cominciai a prepararmi la dose, subito dopo essermi accertato che non ci fosse nessuno nei paraggi. In pochi minuti mi ritrovai catapultato nel mio mondo incantato: quello dove esistevo solo io ed ero il re dell'universo, quello in cui ero invincibile, imbattibile, inavvicinabile. Non mi ero mai trovato in spiaggia in quelle condizioni, non potevo sapere che la vista ed il rumore di un essere indomabile come il mare mi avrebbe potuto condizionare così tanto a tal punto da avere delle allucinazioni. In realtà non sapevo nemmeno che fossero degli effetti possibili della cocaina.

Tutto d'un tratto, quella grande distesa d'acqua che avevo davanti ai miei occhi fino a qualche secondo prima, divenne un ring. Il mio cervello mi diceva di salirci assolutamente sopra, per dare una bella lezione a quell'uomo che aveva anche solo osato pensare di potermi sfidare. E fu cosi che nel giro di qualche secondo mi ritrovai a mollo in una distesa di acqua, bagnato fino al torace, ovviamente senza rendermene conto. Ero iperattivo, schiaffeggiavo l'acqua come se stessi picchiando il mio peggior nemico, e la cosa meravigliosa è che non ero stanco, ne tantomeno affaticato. Era questo l'effetto che più mi piaceva di lei, mi portava a stare sempre a mille senza sentirne il minimo sforzo.
Fortunatamente il mare era calmo come una tavola, ed eravamo in piena estate, perciò l'acqua era calda come un brodo, altrimenti mi sarei sicuramente preso la broncopolmonite. Ovviamente il mio cervello non era in grado di fare tutte queste considerazioni, io ero super concentrato ad annientare quell'uomo che era davanti a me, e sembrava essere anche lui fatto di qualche sostanza a me sconosciuta, non riuscivo a metterlo k.o. Cominciavo ad accusare un pò, e forse mentre la stanchezza si cominciava a far sentire mi ero spinto un pochino troppo a largo , anche se in quelle condizioni non ero affatto cosciente di tutto questo. Ebbi improvvisamente un crollo emotivo, tutto d'un tratto non ero più Raoul Sassi, l'invincibile per eccellenza. Ero diventato un uomo senza la forza di fare nulla. Senza la forza persino di tornare dove riuscivo a toccare con i piedi la sabbia. È stato proprio lì che il mio cervello riuscì a ritornare in se, giusto in tempo per ricordarmi che ero all'entrata del canale delle barche. Oltre che essere in una distesa di acqua scura, dove non vedevo al di la del mio naso, dove non riuscivo a poggiare i piedi per terra per riposare un po e riprendere fiato, dovevo anche sbrigarmi perché ero in una zona molto pericolosa, questa era proprio l'ora dove c'era maggior affluenza su quel canale.

Fortunatamente mi erano rimaste le forze necessarie: il minimo indispensabile per riuscire ad arrivare all'acqua alta un metro, un metro e mezzo forse, e riprendere fiato per poi uscire dall'acqua e tornare a casa, ignaro di come fossi finito in quelle condizioni. Mentre mi stavo dirigendo verso la riva cominciava a mancarmi il respiro e non riuscivo più a controllare i movimenti delle mie braccia, era come se qualcuno dall'alto mi stesse muovendo schizzofrenicamente. Pian piano la stessa sensazione raggiunse le mie gambe, a tal punto da farmi cadere in ginocchio sulla sabbia, con l'acqua che mi arrivava alla bocca dello stomaco, e poi diritto giù in acqua, proprio come un ciocco di legno. Ero rivolto con il viso verso l'acqua , non riuscivo a comandare il mio respiro e non facevo altro che bere acqua salata. Il mio cervello non faceva altro che mandare impulsi a braccia e gambe in modo disordinato e senza senso. Non ero più il padrone dei miei movimenti, qualcosa nel mio cervello aveva preso il sopravvento. Passai ad occhio e croce 3 minuti in quella posizione, e non riuscivo a riprendermi. Ero cosciente che se non fosse venuto qualcuno ad aiutarmi non avrei resistito a lungo senza morire affogato. E la cosa peggiore era proprio il mio essere cosciente ma allo stesso tempo impotente e non riuscire a fare nulla per alzarmi e salvarmi la vita. Era come se avessi un muro sopra di me che mi impediva di tirarmi su. Mi stavo muovendo come se mi stessero facendo il solletico in ogni parte del corpo e stavo bevendo acqua (salata!) in quantità industriali. Mancava poco e si sarebbe esaurita la scorta di ossigeno in grado di tenermi cosciente per ragionare, anche se senza imput fisici..
Ad un tratto sentì una mano afferrarmi violentemente il polso. Dalla forza nella stretta direi una mano maschile. Mi girò supino in modo da non farmi più bere acqua e cominciò a tirarmi verso la riva.

"Che sia un Angelo mandato da quel Dio che bestemmio sempre? Magari è tutto un piano per farmi ricredere sulla sua inesistenza."

Cominciai a sentire sotto le natiche la terra ferma, la sabbia strusciare sotto i miei jeans. La mano lasciò la presa sul mio polso nel momento in cui il mio corpo si trovava completamente fuori dall'acqua. Continuai a muovermi disordinatamente e a respirare a fatica quando sentii delle morbidissime labbra appoggiarsi sulle mie in quello che mi sembrò un inizio di un bacio dolcissimo ma allo stesso tempo passionale.
In realtà probabilmente era solo un tentativo di rianimarmi tramite la respirazione bocca a bocca.
Non potevano essere delle labbra maschili, erano senza dubbio le labbra di una donna. Erano fine, calde e si muovevano con dei movimenti dolci, come se avessero paura di ferirmi. Sentivo il suo fiato dentro di me, come un elisir di ripristino.

Anche se non ci sono studi che confermino che la respirazione bocca a bocca abbia una notevole incisione sulle crisi epilettiche, io posso giurarvi che dopo aver assaporato quelle labbra misi fine alle mie sofferenze. Il mio respiro tornò pian piano regolare e i miei arti smisero di muoversi furasticamente.

Non appena ripreso possesso del mio corpo apri gli occhi per vedere chi fosse quell'angelo che mi aveva appena salvato la vita. Mi tirai su usando le braccia come appoggio dietro di me, mi guardai intorno ma non c'era nessuno.
Eppure non potevo essermi immaginato tutto, ero sicuro di aver sentito quelle labbra sulle mie, erano state quelle a salvarmi la vita.
Continuai a guardarmi intorno nella speranza che quel qualcuno tornasse da me, ma erano tutti sforzi vani. Guardai l'orologio accorgendomi che erano più di 2 ore che ero in quella maledetta spiaggia. E proprio in quel momento ebbi la conferma che non era stato tutto frutto della mia immaginazione. Sulla mia pelle bagnata c'erano dei segni rossi. Erano i segni della mano che mi aveva trascinato via dal mare e portato sulla riva salvandomi la vita. Davvero qualcuno mi aveva appena salvato da morte certa. Quando feci per alzarmi mi resi conto che il portachiave che avrei dovuto restituire ad Emanuele non c'era più, ne nei miei pantaloni, ne sulla sdraia dove mi ricordavo di averlo lasciato. "Cazzo! Cazzo!" Pensai tra me e me. Da lontano riuscì a distinguere che al posto di quel portachiavi, sulla sdraio dove mi ero seduto prima, qualcuno aveva lasciato un qualcosa, molto più grande di un portachiavi però. Il tempo di alzarmi e mentre mi avvicinai alla sdraio riuscì a riconoscere l'oggetto: un casco da moto, rosa antico, opaco, con incise C.B. sul lato destro.
Dal colore, e dalle dimensioni del casco potevo solo che pensare che appartenesse ad un individuo femminile; e se prima non c'era poteva voler dire solo una cosa: se fossi riuscito a restituirlo al legittimo proprietario sarei riuscito a guardare negli occhi la donna che mi aveva salvato la vita. Dopo quel bacio non avrei chiesto di meglio. Presi il casco tra le mani, mi girai verso il mare e gridai:

"Ti troverò C.B. è una promessa".

ʟ'ᴀɴᴛɪᴅᴏᴛᴏ ᴀʟʟᴀ ᴍɪᴀ ᴅʀᴏɢᴀWhere stories live. Discover now