Sorrisi improvvisamente.

Era effettivamente come una metafora di vita nel quale mi vedevo riflessa pienamente. Feci scivolare il bicchiere ormai vuoto verso il barista, che ancora una volta mi guardò come se fossi stata un alieno seduta al suo bancone. Scocciata mi alzai e me ne andai.

Lasciai che la mia mente venisse trasportata dalla melodia e che le mie articolazioni seguissero quel richiamo senza opporre resistenza. Le mie gambe si mossero lentamente, poi sempre più veloci. Le mie braccia si sollevarono nell'aria scalfendo le note disperse nell'atmosfera. La testa si abbandonò e iniziò a ciondolare cullata dalla musica, mentre gli occhi si chiudevano lentamente. Danzai senza vergogna e passo dopo passo, mi ritrovai presto in mezzo alla pista da ballo presa da un'insolita leggerezza. Delle donne mi guardarono divertite dalla mia goffaggine, ma a me non importava. Sentivo salire dalla gola una ventata d'aria calda, arrivando fino alle guance e infine alla fronte. La sala intorno a me vorticò come se fossi stata al centro di un ciclone. La mia testa fu scossa da un brusco crepitio. Era ormai certo che quel cocktail dal colore acceso mi avesse fatta andare fuori di testa. Ero ubriaca.

Portai una mano alla fronte ma l'alcool mi fece perdere il controllo del braccio e inevitabilmente colpì un ragazzo che si faceva strada tra la folla. Mi bloccai all'istante.

I miei occhi inciamparono in uno sguardo glaciale. Due occhi azzurri e vivaci, talmente abbaglianti da apparire come stelle sfavillanti tra le tenebre più fitte.

Ne avevo visti pochi così nella mia vita. Gli ultimi che mi avevano colpito in quel modo erano stati quelli di Sebastian. Luminosi e vigorosi.

Rabbrividii.

Il ragazzo si fermò e mi guardò esitante. Per un attimo si volse verso la ragazza che stava seguendo, ma che nel frattempo era ormai scomparsa dispersa tra la fiumana di gente. Sospirò seccato e infine si girò.

Il suo volto era caratterizzato da un profilo pronunciato dalla mascella, dagli zigomi magri e da una pelle liscia, spettinata solamente da qualche accenno di barba. Aveva i capelli di un colore biondo ma più scuro, simile alla cenere, e i suoi ciuffi gli ricadevano sulla fronte ribelli e indomati.

«Sono veri?» chiesi senza ritegno. Il ragazzo alzò un sopracciglio sconcertato dalla mia ubriaca intraprendenza. Ubriaca perché sapevo che se non avessi bevuto non mi sarei ritrovata certamente in quella situazione.

«Che cosa?» la sua voce gli uscì più chiara di quel che pensavo sarebbe stato per via della musica alta.

«Gli occhi: sembrano due lampadine». Pronunciai ingenuamente quelle parole, senza cattiveria. Parlai con una tale genuinità che vidi affiorare sulle sue labbra un piccolo sorriso. Un sorriso sardonico.

Spezzò il silenzio scoppiando a ridere e la sua risata argentina mi sorprese profondamente. Così spontanea, elegante e... accattivante.

«Abbiamo una poetessa tra di noi» affermò facendomi arrossire.

Sollevai le mani a mezz'aria con impeto. «Sono urriaca!» dichiarai.

L'alcool non aveva mai avuto un buon effetto su di me. A dir il vero non ero mai stata una grande bevitrice, anzi, se potevo evitarlo era meglio. Ma quella sera la disperazione mi aveva portata su un altro pianeta. Sentivo la testa come in un pallone.

«Lo vedo» rispose il ragazzo divertito dalla mia espressione.

Sfoggiai un sorriso raggiante, anche se a lui doveva essere apparso come un tentativo mal riuscito di mostrarsi normale.

«Già» sogghignai. «Tu sembri proprio uno a cui non sfugge nulla, vero?».

«Diciamo che quando le cose sono evidenti non è difficile notarle» osservò studiandomi con lo sguardo.

Non ero decisamente in buono stato, calcolando poi che non mi ero presa neanche la briga di cambiarmi. Una maglietta bianca e un paio di jeans scuri era ciò che indossavo solitamente come divisa da lavoro.

«Ah si? E ora cosa noti "So tutto io"?» dissi corrucciando la fronte.

Avvicinò il viso al mio orecchio: «Beh, noto che sei sola, sbronza e quasi certamente molto demoralizzata. Qualcuno potrebbe approfittarne» appurò il ragazzo dagli occhi azzurri come il ghiaccio.

«E cosa ti fa pensare che io sia sola?» replicai quasi immediatamente.

«Se fossi stata in compagnia avresti dedicato più tempo al guardaroba, poetessa».

«E questo che vuol dire? Anche tu non sei un modello d'uomo» esclamai puntandogli il dito al petto e considerando il suo abbigliamento sobrio riassunto in un paio di pantaloni in jersey color porpora e una maglietta bianca con scritto al petto "Give me your soul!".

Mi afferrò la mano con un colpo deciso.

«Sei simpatica poetessa. Ma non mi piace che mi si prenda in giro» parlò d'un tratto serio. Rimasi disorientata dal suo atteggiamento. Un attimo prima pareva il classico ragazzo universitario pronto a spassarsela, e un attimo dopo sembrava uscito da uno di quei film dalla trama intrigata e troppo complessa.

Mi scappò una smorfia esterrefatta. Lasciò la mia mano delicatamente.

«Non mi sembra di averti mai vista da queste parti. Come ti chiami?» chiese alzando un sopracciglio.

Esplosi in una risata stridula. «Ma ci stai provando?» Maledetto alcool! Aveva sempre avuto questo potere: o farmi cadere addormentata, il che ero sicura sarebbe successo da lì a poco; o trasformarmi in una perfetta deficiente dalla risata facile.

«Perché sappi che sono venuta qui da sola e non cerco compagnia. Voglio divertirmi da sola. Ballare da sola. E bere da sola. Comprendi?».

«Quindi sei qui da sola».

«No».

«Lo hai appena confermato».

«Non è vero!» sbuffai.

«Sei buffa, poetessa. Davvero buffa».

«E tu sei strano. I tuoi occhi sono strani. Te l'ho già chiesto se sono veri?» domandai avvicinandomi e fissandolo con sguardo intenso. O almeno, quello che poteva sembrare.

«Sì, e sono naturali».

«Non si intonano per niente a te. Questi sono gli occhi di un angelo. E tu hai più le fattezze da diavolo. Se capisci cosa intendo» analizzai attentamente cercando di rimanere il più possibile seria.

Il ragazzo dagli occhi azzurri come il ghiaccio sorrise e con fare misterioso, si avvicinò al mio orecchio. «Mi appartengono più di quanto tu possa immaginare, poetessa».

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