Capitolo 12

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PARTE II


Nell'aria si respirava un dolce profumo.

La mamma aveva nuovamente sfornato una torta, una di quelle soffici con le gocce al cioccolato che ci piacevano tanto. Avevo appena fatto il mio ingresso in cucina per notare come questa fosse meravigliosamente luminosa, arredata dai piani in marmo beige e i mobili bianchi che la mamma aveva tanto desiderato quando ci trasferimmo in centro. Dei girasoli ci guardavano e diffondevano una gioiosa allegria con il loro colorito giallo, così caldo e delizioso che ricordavano i raggi del sole.

Vi era la finestra aperta e un lieve venticello sollevava le tende gonfiandole come vele in una danza leggiadra e soave. Fuori si prospettava una bellissima giornata.

Notai papà seduto alla sua solita sedia al balcone che picchiettava le lunghe dita da pianista sulla tastiera del suo portatile, mentre fugacemente gettava qualche occhiata alle carte che teneva al suo fianco. Era come sempre indaffarato, carico di pratiche da svolgere e scartoffie da revisionare.

Mi avvicinai e mi diede un bacio. La mamma mi sorrise e poggiò la torta sul piedistallo in cristallo in mezzo alla tavola.

«Ho invitato il tuo amico a colazione oggi. Ha avvisato che arriverà tra qualche minuto. Sai il traffico!» annunciò pimpante.

Le sorrisi a mia volta spremendomi le meningi per immaginare a chi si stesse riferendo. Un attimo dopo udimmo un tonfo e con un balzo Ginevra percorse gli ultimi gradini del corridoio comparendo in cucina più bella che mai. Aveva da poco accorciato i capelli, era splendida.

Allungai la mano per farle il solletico ma con un risolino si scostò andando infine ad ammirare la torta al centro della tavola apparecchiata.

«Chi viene oggi? Ho sentito qualcosa poco prima di scendere» chiese sogghignando divertita quando la mamma la scacciò con il mestolo lontana dalla sua creazione.

«L'amico di Samanta, quel ragazzo così gentile».

«Ah, quel figo? Penso di essermi innamorata di lui, Samanta. Se non ti metti tu con lui, mi ci metto io!» sospirò la mia sorellina.

«Credo che sia un po' troppo grande per te Ginevra» ribadì papà abbandonando le sue pratiche e mettendosi a tavola nell'attimo esatto che suonò il campanello. Un trillo delicato che ricordava la melodia classica di un famoso pianista.

La mamma andò ad aprire al nostro ospite e lo accolse all'ingresso.

Quando tornò era accompagnata da un giovane uomo elegantemente vestito.

«Sebastian è arrivato» proclamò la mamma.

«Scusate il ritardo, purtroppo passare per il centro è più difficile di quanto pensassi. Per via del traffico limitato. Praticamente ovunque!» disse e la sua voce mi parve troppo mielosa, troppo falsa. Un tono distorto che non ricordavo gli appartenesse.

Poi mi si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia.

«Grazie Samanta di avermi permesso di entrare in casa tua. Non sai da quanto aspettavo questo momento» mi sussurrò all'orecchio e le ultime parole uscirono basse, con un suono gutturale e graffiante.

Sollevai lo sguardo per incontrare i suoi occhi rossi e il suo sorriso soddisfatto.

Sebastian si volse e procedette verso la mamma che nel frattempo aveva posto le tazze in tavola. La porta della cucina si chiuse di scatto con un colpo secco ed io rimasi fuori. Poi le grida si alternarono. Prima quelle della mamma, poi quelle di Ginevra e di papà. Non potevo più far nulla per loro.

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