Il rider che salvò l'Europa

Il foreign fighter in fuga

Il foreign fighter in fuga, si presentò una mattina mentre andavo al bar di Franz.

Camminavo per i fatti miei. Pensavo a una cosa banale, ma calda: al cappuccino.

Mi sentii tirare dentro un androne deserto. Lui guardò la mia faccia spaventata e disse:

«Sta calmo. Non ho cattive intenzioni.»

La sua voce era precisa come un colpo di pistola, e il suo sguardo pungente come rami di rovi secchi. Per il resto, non aveva assolutamente l'aria da cospiratore. Né da ribelle. Era uno al quale nessuno avrebbe mai previsto un futuro da jiadista.

La sua mano mollò il bavero della mia giacca.

Pensai che volesse vendermi dell'erba o quella roba lì. O, meno tossica ma altrettanto fuorilegge, refurtiva rubata.

«Non faccio uso di sostanze. Non fumo niente, forse l'unica cosa che mi fumano, sono le scarpe quando corro» dissi cercando di stare in bilico tra l'essere brillante e il fatto di essere rimasto impressionato da quella strattonata.

«Non vendo droga» commentò lui piccato.

«...Se invece hai qualche Rolex da piazzare, anche lì sei fuori pista, io uso solo orologi da quattro soldi...»

Al tipo spuntò un'espressione tra il meravigliato e il diffidente. Stavo contribuendo al suo cambiamento di umore:

«Prima mi hai preso per uno spacciatore. Adesso per ladro che vende Rolex rubati!»

Ero stato precipitoso. Non è che non me la fossi cavata bene, il fatto era che – per qualche motivo che mi sfuggiva – mi sembrava di averlo offeso.

«Amico scusa, ma mi hai tirato per il bavero mentre me ne andavo per la mia strada: non pensi che sia normale che io cerchi di capire a cosa miri?»

«Di sicuro non ad associare il mio nome a un simbolo di questo merdoso Occidente: un foreign fighter non può avere niente da spartire con esso!»