Cap. I Vieni con me

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Eccola, riesco a sentirla. Quella piccola, sfuggente scintilla che potrebbe incendiarmi la pelle e confondermi i pensieri. Anche se non è ancora il momento e la musica di un minuetto in re maggiore mi offusca i sensi, sfiancando la mia concentrazione, percepisco quel pur labile alito di vita che dovrò proteggere. Lo custodirò fino alla fine dell'oscuro viaggio che mi attende.

La luce dell'immenso salone in cui mi trovo è talmente calda, abbagliante, che mi fa socchiudere le palpebre e vibrare la pelle sotto gli occhi. Intorno a me è tutto un vociare confuso, un vorticare di gonne e tessuti preziosi.

– Voi, cara fanciulla, non ballate?

Sobbalzo nel sentire la voce della marchesa di Garth che quasi soffia nel mio orecchio, per sovrastare la musica del clavicembalo.

– No, signora – rispondo. – Io non ballo mai, soprattutto in queste occasioni.

 La donna si piega un po' verso di me, mostrando la generosa scollatura e il neo posticcio sul seno incipriato. È ancora giovane, bella, con la pelle del viso liscia sotto il belletto e gli occhi vivaci. – Dovreste, invece. Vi aiuterebbe a rasserenare l'animo, in vista di una prova tanto ardua, mia cara. E poi... se mostraste disprezzo verso il ballo a cui gli stessi padroni di casa stanno presenziando, manchereste loro di rispetto.

Io mi tiro indietro con la testa, scuotendo il mento, in un'espressione che deve sembrarle allarmata. – Non avevo nessuna intenzione di mancare di rispetto verso il conte e la contessa! – mi difendo. – Non potrei mai, tuttavia...

– Tuttavia?

 Abbasso un po' la voce, ripetendo: – Io non ballo mai in queste occasioni.

 Lei apre il ventaglio che porta legato a un polso, insieme al suo carnet, e si fa aria muovendolo ritmicamente davanti al viso e inondandomi, così, della penetrante fragranza di gelsomino che emana dal suo corpo. – Capisco. Probabilmente la tragedia vi ha scosso particolarmente, dico bene? Povera, dolce Karola... Era così giovane...

Resto in silenzio, fissando lo sguardo sulle danze che si stanno svolgendo davanti ai miei occhi: dame da una parte, cavalieri dall'altra e piccoli, veloci passi leggiadri che li uniscono e li separano, in un ritmo ondeggiante come una marea.

La marchesa continua a farsi aria con il ventaglio e lancia uno sguardo ammiccante alle mie spalle, verso un angolo della sala, dove un giovane di una ventina d'anni se ne sta appoggiato con una spalla al muro, le braccia incrociate sul petto. È piuttosto alto, con i capelli color mogano che gli coprono in parte il viso, dandogli un'aria un po' selvatica. Gli occhi verdi incrociano i miei, si stringono brevemente, poi trovano quelli della marchesa, arpionandoli finché la donna non distoglie lo sguardo, coprendosi la bocca e il naso con il ventaglio.

– Dovreste dire al vostro Julian che le gentildonne non si fissano in quel modo, mia cara.

 A dispetto delle sue parole, c'è compiacimento nella sua voce, anche se faccio finta di non notarlo.

– Glielo dirò. Vogliate perdonarlo.

 Deglutisco, cercando di non far trapelare il mio turbamento. In questo momento voglio dimenticare che l'intensa fragranza di gelsomino della marchesa la sento spesso addosso a Julian, come una specie di marchio.

Non voglio pensarci. Io non posso pensarci adesso.

Oltre il gruppo dei danzatori, che riempiono il centro del salone, su sogli di legno dorato, siedono il conte e la contessa di Sadek, genitori di Karola. Accanto a loro, in piedi, come se volesse restarsene un po' in disparte, il suo sposo ha lo sguardo perso nel vuoto.

Requiem d'invernoWhere stories live. Discover now