Era stata l'unica gioia della giornata.

Sto venendo a casa tua, spuntò sul display del mio cellulare. Ero in ritardo. Spensi la piastra, mi alzai e presi la borsa.

- Stai uscendo, tesoro? - mi chiese mia madre quando scesi in salotto.

Annuii, cercando di mettere le chiavi e il portafoglio dentro la borsetta microscopica.

- Vado alla partita -.

Perché dovevano essere tanto carine quanto piccole quelle borse? Erano inutili, in pratica.

- Wendy, posso farti una domanda? Non voglio che ti arrabbi, però -.

Lasciai perdere la borsa, alzando la testa per guardarla negli occhi. Si era avvicinata, con una tazza di caffè in mano.

- Ti ha fatto del male? -.

- Chi? -. Sapevo bene a chi si riferiva.

- Aiden. Wendy, ho capito che si tratta di lui. Ti ha fatto del male? Fisicamente, intendo - mi chiese, inclinando la testa verso il basso. Era l'espressione di chi cercava di afferrare un cucciolo abbandonato in mezzo la strada. Davo quell'impressione? Quella di un cucciolo abbandonato?

- No! - strillai - Mamma, come ti viene in mente? -.

- Era solo una domanda. Cos'è successo, allora?  -.

- Non voglio parlarne - dissi. Il mio tono era pacato, comprensivo bei suoi confronti. A volte, ci arrabbiamo con i nostri genitori. Pensiamo che si vogliano solo immischiare, ficcare il naso nelle nostre vite private. Ci ribelliamo, li attacchiamo, ci isoliamo. Ma, ogni tanto, dovremmo metterci al posto loro e immaginare come debbano vivere all'oscuro di tutto ciò che non gli raccontiamo. Sono i nostri genitori ed è lecito che si preoccupino per noi.

I miei mi assillavano da giorni, se non con le parole, anche solo con gli sguardi. Ma non potevo arrabbiarmi con loro, perché probabilmente mi sarei sentita ancora peggio senza nessuno a preoccuparsi per me.

- Mamma, scusa. Ti voglio bene - sospirai, abbracciandola di slancio. Allontanò la mano con la tazza e mi strinse a sé con quella libera. Scusa perché non voglio parlarne, scusa perché mi aveva sempre detto di stargli lontano, scusa perché le madri hanno sempre ragione e i figli non ascoltano.

Il campanello interruppe quel momento.

- Ti voglio bene anch'io, tesoro mio - disse, prima che mi staccassi a malincuore. L'abbraccio di una madre è da sempre il miglior farmaco.

Mi sentivo davvero meglio, nonostante potesse sembrare surreale. Avevo bisogno di quell'appoggio da parte sua, quel conforto che solo una madre sa darti e, purtroppo, non tutti hanno la possibilità di provare.

- Ci vediamo più tardi - le dissi, prima di recarmi alla porta. Mi seguì, salutò Lisa e poi rientrò.

- Sei venuta a piedi? - le chiesi mentre richiudevo il piccolo cancello.

- No, mi ha lasciato mia madre. Sono andata dalla psicologa -.

- E come è andata? - domandai, camminando al suo fianco verso scuola.

Come la peceWhere stories live. Discover now