Cap. 7 - Pecunia Non Olet

8 0 0
                                    

Questo continuo passare di mano mi è sempre stato sulle palle.

Ho sempre cercato stabilità, voluto una casa mia con le persone che mi piacciono e le cose che mi servono, un posto dove poter riposare e sentirmi a mio agio. E invece sono sempre stata sbattuta di qua e di là, senza soluzione di continuità, da quando io abbia memoria.

Quanti giri e quanti viaggi...

Ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare: una sparatoria durante il pagamento di una partita di oppio proveniente dall'Afghanistan, le lacrime di un ragazzo mentre restituiva un anello di fidanzamento rifiutato dalla sua bella, le grazie di una prostituta che si concedeva lungo i marciapiedi di Smirne, la confusione nel Grande Bazar di Istanbul durante innumerevoli compravendite... Non so quanti chilometri mi sono già lasciata alle spalle e quando chiacchiero con le mie amiche mi piace raccontare che ho coperto la stessa distanza che separa la Terra dalla Luna, perché almeno tutto questo girovagare assume contorni più romantici, come il sogno mai realizzato di fare un viaggio sull'Orient Express.

Fui stampata nel lontano 1952 e solo i primi giorni della mia vita furono felici: stavo accoccolata insieme a mille altre banconote identiche a me e non avevo problemi, finché fui strappata dalle mie simili. Mi infilarono nella cassa di una banca e un signore con un lunga barba grigia mi stropicciò maldestramente mentre contava sottovoce per poi farmi passare sotto un vetro e finire nel portafogli di un signore baffuto che si guardava attorno con aria furtiva. Fu allora che iniziarono le mie peregrinazioni.

Quando ormai ero rassegnata ad un girovagare senza fine – almeno finché qualcuno non mi avesse strappata o bruciata – capitai tra le mani del Turista che, detto tra noi, è il sogno più segreto di qualsiasi banconota: Il Turista non tratta la banconota come denaro ma la considera come un souvenir. È un po' come passare dallo status di prostituta a quello di escort: non sarà il massimo, ma per lo meno non prendi più freddo per strada scambiata tra mani unte e polverose, invece te ne stai in qualche casa, al calduccio, aspettando che il Turista ti prelevi dal cassetto dove ti ha riposto per mostrarti ai suoi ospiti.

Se poi sei una banconota veramente ma veramente fortunata, finisci tra le mani del Collezionista, il quale ti tratterà come una preziosa fidanzata: ti inserirà in una teca con cornice o comunque ti coprirà con pellicola trasparente per evitare che possa rovinarti. Ecco, non sentire più il contatto diretto delle mani degli estranei è il traguardo più prestigioso cui possa ambire una banconota.

Io fui fortunata, ma non fino in fondo e comunque non per molto tempo: il Turista mi portò via dalla Turchia e finii in Italia. Un giorno lo sentii lamentarsi perché ero di taglio troppo piccolo e in Banca non mi cambiavano, così mi ripose in un cassetto, al buio.

I primi giorni furono duri, lo ammetto, ma poi mi abituai presto a quella condizione. Il solo fatto di restare a lungo in un posto e non essere toccata da nessuno, era per me motivo di sollievo infinito.

Per molti anni vissi in questo limbo con acquiescenza, ma in fondo al mio cuore di filigrana sapevo che non sarebbe durata a lungo.

Il Giovinastro mi prelevò con mano malferma una mattina di febbraio e mi portò di nuovo in banca e a distanza di anni sentii ripetere le stesse parole circa il mio valore insufficiente. Sarebbe potuto suonare come un insulto per molte mie simili, ma non per me perché speravo che questo mi avrebbe permesso di tornare nel cassetto.

Ma così non fu, perché il Giovinastro mi buttò sopra uno scrittoio lasciandomi in balia della polvere e della superficie ruvida di un fermacarte.

Il mio destino era tuttavia quello di riprendere a vagare senza meta, ormai l'avevo capito ed infatti, in capo a pochi giorni, il giovinastro tornò in casa accompagnato da un uomo e da un gatto. Parlottarono qualche minuto e poi il giovinastro mi consegnò all'uomo. Una volta nelle sue mani, cercai di stabilirne l'età ma per la prima in vita mia non ci riuscii. Di solito i calli, la ruvidezza e l'odore della pelle mi aiutano a stabilire con precisione l'età di chi mi tocca, ma le mani di quell'uomo avevano una consistenza ignota, strana, e non riuscivo a capire se fossi più spaventata o incuriosita.

Quando arrivammo a casa sua, l'uomo iniziò a parlare col gatto con vivacità sempre crescente: quella che in principio sembrava solo una discussione animata divenne ben presto una lite furiosa. Non riuscivo a capire il motivo della diatriba perché i loro dialoghi erano ricchi di sottintesi a me ignoti.

«non erano questi i patti», ripeteva più volte l'uomo

«le cose sono cambiate da allora», ribatteva il gatto.

Volarono anche parole grosse: l'uomo diede del "truffatore" al gatto e questi di rimando lo apostrofò come "inaffidabile".

Non ho mai capito perché gli essere umani (ma anche i gatti) perdano così tanto tempo a litigare.

La solfa andò avanti per un bel po', finchè l'uomo non si alzò dalla poltrona dove si era accomodato ed esplose: «allora sai cosa ti dico? Tieniti quella maledetta banconota, io me ne vado!».

Quando la porta sbattè la corrente d'aria mi fece volare via dallo scrittoio e così, sollevata da un refolo di vento, finii in uno piccolo cassetto che era rimasto aperto.

Il gatto si leccò i baffi per qualche minuto, indeciso sul da farsi, poi saltò sullo scrittoio e con un potente colpo di coda chiuse il cassetto. Sentii uno schiocco metallico, come di una serratura che si chiude e mi trovai di nuovo al buio, senza polvere e senza mani sporche nei paraggi.

Anche se sapevo che quello non era il mio destino, pregai con tutto il cuore che non mi trovassero mai più.

Gianni "Lapinsu" Pennesi

Tre di CinqueWhere stories live. Discover now