Capitolo 3

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Non sono mai stata una ragazza da centri commerciali, da feste affollate o da mille amici. Preferisco stare da sola, preferisco i posti isolati, tranquilli; preferisco un'amaca tra due alberi a una discoteca, preferisco guardare l'alba o il tramonto in riva al mare in una spiaggia deserta piuttosto che prendere il sole in un lido affollato. Preferisco il silenzio di una montagna o di una campagna rispetto alla frenesia urbana. Amo l'inverno, amo sorseggiare del tè bollente mentre fuori c'è il temporale, e mi rilasso a sentire il suono e l'odore della pioggia, a vedere le gocce che scendono giù dai vetri delle finestre. E soprattutto preferisco armarmi di auricolari e ascoltare la musica che piace a me piuttosto che uniformarmi alla massa e ascoltare ridicola musica commerciale. 

Gli altri però non capiscono tutto questo universo di emozioni e sensazioni singolari e riescono a buttarti a terra, criticando ogni scelta anticonformista che fai. Non fanno altro che categorizzarti come "strana", "asociale", "pazza", "stupida". E la tua autostima di conseguenza scende, scende sempre di più, inesorabilmente; non in maniera consapevole, non di proposito. Ma quando ti ritrovi da sola, di notte, sprofondata nel tuo letto e immersa nei tuoi pensieri più profondi, riesci solo a criticarti da sola, arrivi anche a odiarti per non essere come gli altri, quando al contrario dovrebbe essere un vanto. Non importa quanto tu sia contenta del tuo nuovo taglio di capelli, di come ti calzi a pennello quel nuovo vestito, di come ti risalti gli occhi quel trucco che hai provato, tu non ti sentirai mai a posto con te stessa. E allo stesso momento ti senti stupida, perché ci sono tante di quelle persone che vorrebbero essere al tuo posto, che vorrebbero avere quello che hai tu, che si accontentano di quel minimo che hanno e pregano affinché la loro vita migliori anche di poco. 

Già, pregano. Ma cosa pregano? Che senso ha? Più passano gli anni e più mi rendo conto che la religione sia davvero l'oppio dei popoli. Non mi capacito di come nel 21° secolo ancora sia così radicata l'idea dell'esistenza di una qualche divinità che abbia dei "poteri", che risolva i problemi della gente perché "la ama", che siamo tutti accomunati da un unico "padre". Quello che le persone non riescono a capire è che il fatto di essere cristiani, buddhisti, ebrei, islamici, etc., è un fatto solo ed esclusivamente casuale, è un attributo imposto dalla società nella quale sei fortuitamente nato. Ma il vero problema, a mio avviso, non risiede nemmeno nel tipo di culto che si pratica. Risiede proprio nel concetto di <<religione>>. 

Per me la religione esiste semplicemente per cercare di dare un senso a un'esistenza altrimenti vana, per tentare di spiegare le origini del mondo e delle cose e i fenomeni ritenuti "incredibili", per non avere paura delle malattie, della morte. E qui aprirei una parentesi, che cos'è la morte? Non esiste una definizione unica, perché ritengo che sia molto personale come pensiero. Potrei dire che secondo me la morte è il passaggio da una vita a un'altra, che semplicemente ci "passiamo la palla", in una maniera ciclica ed eterna, finché qualche evento scientifico e fisico non interrompa questo flusso continuo e tutto semplicemente si trasferisca da un'altra parte. Potrebbe essere un pensiero troppo razionalistico, o forse no, dipende dai punti di vista. Sicuramente è un ragionamento più "giusto" rispetto alla spiegazione religiosa. Mi spiego meglio: perché io, che sono nata in una famiglia benestante, che ho la possibilità di studiare, che posso crearmi un futuro da sola, che in famiglia, nella mia classe e in altri ambienti della mia città conto tanto quanto una persona di sesso opposto al mio, che magari sono entrata in chiesa solo perché costretta dalle situazioni o dai miei genitori, al momento della mia morte dovrei andare "nello stesso posto" di un neonato morto alla nascita o di una persone che ha dedicato la sua vita alla preghiera? Quindi questo ipotetico neonato ha esaurito lì la sua esperienza di vita terrena? Per me è inconcepibile ragionare in questo modo, e sicuramente sono interrogativi banali e senza motivi quelli che mi pongo, ma ognuno creda a ciò che vuole. Di sicuro la fede non è qualcosa che si impara o che si deve avere per forza. Per questo dico che secondo me il paradiso non esiste: è un'altra creazione di noi, poveri, inermi esseri umani, che non riusciamo ad accettare che la nostra vita a un certo punto semplicemente finisca. Dobbiamo per forza dare una spiegazione a tutto e appena ci rendiamo conto che non ci riusciamo, ci aggrappiamo all'idea di una Potenza superiore che ci guida e che decide per noi. Nulla di più ridicolo. 

Magari queste persone vivono meglio. Chissà cosa si prova a non sentirsi mai davvero soli, a non porsi mille domande al giorno, a pensare che con una preghiera e una messa cambi realmente qualcosa nella vita. 

Forse è per questo che la gente mi considera strana, e forse dovrei smettere di andare contro il pensiero comune. Ma non oggi. Oggi preferisco restare sul mio letto a sproloquiare su concetti futili senza che nessuno mi abbia chiesto niente.

L'altra faccia di CliziaWhere stories live. Discover now