Prologo - Nero

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Buio. Buio pesto.
Nonostante ció lui vede come se fosse giorno: le sue mani affusolate, la ringhiera del balcone su cui sembra trovarsi, il cielo immenso e corvino; vede anche altro: una fitta foresta di edifici alti e neri, una grande piazza e, soprattutto, teste, corpi tumultuosi, gli sembra di vedere persino le loro urla eccitate, come se fossero tangibili: di fronte a lui, in basso, un mare vivo e pulsante di persone urla e fa chiasso. Sembrano avercela con lui, possibile? o forse lo stanno acclamando? La seconda ipotesi gli sembra inspiegabilmente piú familiare; tutto gli sembra familiare.

All' improvviso qualcosa rompe il fragore monotono di voci eccitate; non molto lontano, sul lato opposto della piazza, una grande esplosione solleva polvere, fumo e detriti, uno piú scuro dell' altro; l' eccitazione della folla stranamente giubilante si trasforma immediatamente in orrore che serpeggia dagli sguardi, alle bocche ed ai corpi tremanti e atterriti dei piú vicini al luogo della spaventosa detonazione, travolge gradualmente tutta la piazza, anche letteralmente sotto forma di corpi fuggitivi, e si allarga sempre piú, come l' onda concentrica, nata su uno stagno dall' impatto di un ciottolo con la sua superficie, travolge la fogliolina sul pelo dell' acqua.
Lui osserva inorridito: sta assistendo alla distruzione, alla morte, al terrore vero, quello di chi cerca di salvare la sua vita, quello che risparmia solo chi puó ringraziare uno dei piú o meno grossi massi volanti, scagliati ovunque dall' esplosione, per averlo stroncato prima che la paura lo ghermisse; il peggio, peró, non era ancora arrivato, e lui non tarda a capirlo quando i suoi occhi sbarrati si poggiano su ció che ha causato l' esplosione emergendo con violenza dal terreno: un numero indefinito di neri, grossi tentacoli guizzanti, convulsi e muoventisi in ogni direzione, sta facendo scempio ogni cosa viva e morta attorno ad esso, spappolando, mutilando e trascinando nel suo abisso i membri della folla piú vicini in un tripudio di sangue nero e viscere scure come tizzoni spenti; la cosa piú impressionante peró dev' essere un' altra ancora: gli innumerevoli occhi che presenta ciascun tentacolo, che guizzano freneticamente da una vittima all' altra, probabilmente traendo piacere dagli scoppi di sangue e budella, come bambini che si divertono a schiacciare insetti tra le dita.

Gli sembra di aver toccato ormai il fondo piú basso dell' abisso del terrore e dello sgomento, anche se solo per un attimo: tutti gli occhi infatti si rivolgono all' unisono ad osservarlo; mentre i tentacoli continuano, con maniacale disinvoltura, a devastare la piazza, i loro occhi rivolgono i loro sguardi gelidi verso il balcone e verso di lui, ne é sicuro, come é sicuro che il loro fissare inespressivo celi anche una beffarda minaccia.
É a quel punto che urla. Urla senza sentire la sua voce, urla mentre una risata infernale accompagna lo sfacelo di corpi e macerie che é diventato la piazza, urla mentre braccia nere lo afferrano e lo allontanano energicamente dal balcone, trascinandolo nel buio.
Urla mentre si sveglia.
"Ugh, un altro di quei sogni. Ma che cazzo ho nel cervello?"
Sono le 7:30 di lunedí 24 Ottobre del 2016, a Messina, e una nuova giornata é appena iniziata per Andrea Munafó.

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