Running with the Wolves

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Mi svegliai quando sentii degli ululati rimbombare nelle mie orecchie, spaventata e speranzosa di averli semplicemente sognati.
Mi alzai in piedi, mugolando per la schiena dolorante, risultato del freddo della notte e della posizione scomoda in cui mi ero appisolata, e iniziai a guardarmi attorno alla ricerca di un singolo leggero movimento che mi avrebbe suggerito di correre senza sosta.
Vidi a pochi metri da me il mio solito bastone, ma rabbrividii al pensiero che quello mi portò quasi alla morte, così ignorai la voce che mi suggeriva di usarlo per difendermi.
Girai la testa di scatto e smisi di respirare per qualche secondo quando notai dei movimenti tra gli arbusti alla mia destra.
Udii altri ululati, più vicini, e quello mi bastò per iniziare a correre verso la direzione opposta.
Sentivo i miei passi insieme ad altri sconosciuti che calpestavano la bassa vegetazione, mi ripetevo mentalmente di non voltarmi mai.
Correvo senza una destinazione precisa con la certezza che prima o poi mi sarei stancata, mentre i lupi, animali da caccia, non si sarebbero stancati così facilmente.
Alzai la testa verso le chiome degli alberi più alti e sorrisi compiaciuta. L'altezza mi avrebbe protetta.
Salii su un albero, quello che mi sembrava il più robusto e il più alto, utilizzando le mie doti pressoché precarie che in quella situazione di pericolo divennero ottime.
Mi sedetti su un ramo osservando dall'alto il branco di lupi che mi ringhiava contro.
Non avevo mai visto dei lupi dal vivo, solamente in alcune rappresentazioni su enciclopedie.
Erano degli animali maestosi, la folta pelliccia argentata splendeva fiera sotto la luce della luna.
Gli occhi giallognoli erano furbi e ipnotici, i denti che mi mostravano orgogliosi erano aguzzi, non osai immaginare come potesse essere atroce la morte delle loro prede.
Uno di essi, che appuntai mentalmente come capo branco, si avvicinò lentamente all'albero dove giacevo spaventata e piegò le robuste e forti zampe. Capii immediatamente qual era il suo intento e pregai mentalmente di aver scelto bene il ramo su cui sedermi.
Per mia fortuna, nonostante il balzo notevole che fece, non riuscì a raggiungermi.
Gli animali non si arresero, continuarono a girare attorno al mio albero, ogni tanto cercavano di afferrarmi con salti via via più alti.
Mi convinsi che Peter Pan e i bambini sperduti sarebbero giunti ad aiutarmi, dovevo avere fede e speranza. Sicuramente avevano sentito gli ululati e sapevano che io ero sola nella foresta, non potevano rimanere impassibili e indifferenti alla sorte di una persona.
Poi mi ricordai delle parole di Pan "Io ho torturato e ucciso gente che mi è stata fedele per anni, perché dovrei risparmiare un'insolente ragazzina come te" e mi scoraggiai.
Ma io gli servivo, gli servivo per i suoi giochi, l'aveva detto egli stesso.
Come poteva abbandonarmi così era stato il ragazzo a portarmi qui?
Non era il gioco l'intenzione principale per cui mi aveva fatto rapire.
Volle divertirsi con me, e chissà in quale modo, solo dopo aver testato quanto ribelle e masochista io fossi.
Tentar non nuoce.
-Pan!- urlai ripetutamente e sempre più disperatamente.
Doveva aiutarmi, me lo doveva.
Il panico iniziò a impossessarsi di me, non potevo stare ferma su questo albero per sempre.
I lupi ruggirono più intensamente, iniziai così ad afferrare gli ignoti frutti che produceva il mio albero e a lanciarli contro gli animali che aveva visto in me una loro possibile preda.
-Andate via bestiacce, mi avete stancata!- dissi istericamente digrignando i denti.
Quando vidi i cinque lupi allontanarsi di circa cinque metri dall'albero su cui ero appollaiata, staccai un forte ramo con tutta la forza che mi scorreva tra le vene, scesi impulsivamente e iniziai ad agitare l'arbusto contro le bestie.
Un lupo balzò verso di me, io decisa mi spostai più a destra e quando l'animale cadde lo presi alla testa con due forti colpi.
Odiavo la violenza, amavo gli animali e non volevo ucciderli né fare a loro troppo male, ma qui si trattava di sopravvivenza.
Altri due lupi mi vennero contro, uno di loro mi mancò, atterrando sopra il compagno, che prese a zannarlo per liberarsene.
Il secondo lupo, invece, riuscì a provocarmi una profonda ferita sull'avambraccio.
Mi spaventai quando l'odore acre del sangue mi giunse alle narici, perché l'olfatto maggiormente sviluppato di quei animali li avrebbe resi estasiati della situazione.
Due lupi mi ringhiavano contro ferocemente, altri due lottavano tra di loro, mentre un altro, più piccolo, guardava la scena con occhi innocenti, occhi di un cucciolo.
Occhi che mi sembrava di conoscere.
Indietreggiai di qualche passo, scuotendo la testa incredula.
Se era possibile volare, se era possibile viaggiare tra mondi per mezzo di una dannatissima stella, sarebbe stato possibile trasformarsi in lupi? Non ero nemmeno convinta che degli animali si azzannassero per motivazioni futili e stupide, non come gli umani.
-Non starò al tuo gioco Pan, non a questo. Dove sei? Dove sei?- gridai ancora, con isteria e incredulità nella voce, portandomi alle spalle la stanchezza del giorno prima, del viaggio, delle forti emozioni provate, della corsa e del combattimento, inoltre il braccio non smetteva di sanguinare e di bruciare.
-Dove sei bastardo?- urlai ancora più forte. Sollevai la testa quando notai un movimento sulla cima dell'albero in cui ero seduta.
Peter Pan mi guardava dall'alto sogghignando divertito e tenendo tra le dita un pezzo di stoffa del pigiama che indossavo.
-Sembra di buona fattura, abbiamo un'aristocratica londinese qui- dopo aver udito quelle parole, tutta la mia attenzione fu rivolta ai due lupi che mi giravano attorno e che mi guardavano ostili.
-Non mi aiuti?- chiesi nervosa, sapendo però la risposta. Era questo il suo gioco preferito, non potevo privargli di tale divertimento.
-A dire il vero il mio gioco preferito è un altro- interruppe i miei pensieri, piegando la testa di lato e sollevando il sopracciglio con fare malizioso. D'istinto sorrisi, poi lo guardai confusa. Leggeva nel pensiero?
Uno dei due lupi iniziò ad avvicinarsi minacciosamente a me, portandomi a toccare un albero con la schiena.
Io non potevo morire per uno stupido ragazzino sadico e psicopatico.
Dovevo ragionare ed ignorare il dolore e la stanchezza che mi scorrevano nelle vene. Avanzai di qualche passo verso il branco, con un sorriso subdolo tra le labbra.
-Sapete, Bimbi Sperduti? Fossi in voi eviterei di disturbarmi, ancora- enunciai a gran voce.
Camminavo a passo lento, improvvisato e al contempo studiato, rigirando la mia unica via di salvezza tra le mani, come se fosse un oggetto raro e di inestimabile valore e non un semplice pezzo di legno.
Alzai per un attimo gli occhi verso l'alto, dove Peter Pan mi osservava incuriosito.
I due lupi che giravano intorno a me aumentarono l'intensità dei loro versi.
-Vedete queste due spine, proprio qui, sulla punta del ramoscello- spiegai indicando le spine inesistenti, sperando che la paura dell'incertezza fosse più forte del dubbio stesso.
-Questo ramo l'ho spezzato da un albero di Ovenia, voi conoscete benissimo la pericolosità di questa pianta. Quello che vi chiedo è di lasciarmi in pace- conclusi.
I cani alzarono la testa verso il loro padroncino che semplicemente annuì.
Peter Pan si palesò davanti ai miei occhi, con uno strano sorrisetto tra le labbra, e iniziò a battere le mani soddisfatto.
-Per tua informazione, sì, so leggere nella mente. Ma per qualche strana ragione con te ho delle difficoltà: o pensi troppo o non pensi affatto.
-Non farlo mai più- lo fermai, ma il ragazzino psicopatico si avvicinò a me e mormorò, con una certa calma, una cosa che avevo capito già.
Era lui a dettare le regole nell'Isola che non c'è.
-Ritieniti onorata per non averti uccisa. Potevo smascherare il tuo trucchetto da dilettanti oppure potevo "sacrificare" i miei lupi per ammazzare te- disse facendo le virgolette con le dita alla parola "sacrificare" e puntando poi l'indice contro di me.
-Potevi farlo- osai pronunciare, come al solito l'orgoglio non mi faceva zittire.
-Hai dato prova di coraggio, ingegno e sangue freddo. Mi divertirei di più se ti tenessi con me ancora un po'- mi informò e con un movimento della mano riportò alla forma naturale i suoi compagni.
Sgranai gli occhi quando vidi lui.
Peter Pan fece qualche passo verso i due ragazzi che per tutto il tempo non avevano fatto altro se non farsi male a vicenda.
Essi erano visibilmente intimoriti dalla sua presenza, supplicavano pietà e perdono.
Allo stesso modo che fece con me, prese in mano i loro cuori, che strinse senza alcuna pietà fino a ridurli in polvere grigia.
Rimasi pietrificata davanti alla sua crudeltà, era un mostro, letteralmente. I corpi dei due giovani caddero a terra, esanimi.
Il più piccolo degli sperduti nascose gli occhi terrorizzato, io lo analizzai attentamente.
Copiose lacrime abbandonarono i miei occhi quando lo riconobbi.
-Travis- mormorai incredula, portandomi una mano davanti la bocca.
Corsi verso il bambino, stringendolo forte tra le mie braccia.
Lo credevo morto, ho pensato le peggio cose sulla fine che potesse aver fatto e non riuscii a credere di averlo ritrovato.
Cinque anni erano passati dall'ultima volta che potei abbracciarlo.
Un'infinità di domande mi riempivano la testa dolorante in quel momento, ma non riuscivo né volevo pensare a quelle, desideravo solamente continuare ad averlo con me per sempre.
-Sei davvero tu? Mi sei mancato così tanto- gli dissi tra le lacrime.
-Scusami, ma come fai a sapere il mio nome? Io non ti conosco- chiese il mio fratellino. Quando realizzai pienamente il significato di quella domanda, mi girai chiedendo preoccupata cosa significassero veramente le sue parole a Peter Pan.

Prossimo aggiornamento: lunedì 9/9/2019

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