Capitolo 1: Prima

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Tchaikovsky, Piano Concerto No. 1 in Si Bemolle Minore

Harry strinse il programma troppo forte tra le dita, stropicciando il foglio. Come sempre voleva scappare, voleva strapparsi via dal corpo il completo ben stirato che indossava e schizzare fuori dalla prima uscita, ma qualcosa lo teneva ancorato al pavimento.
Attraverso gli stipiti delle porte che davano sul palco riusciva a vedere il capo dell’orchestra alzarsi e suonare un la al pianoforte. Da un momento all’altro gli sarebbe stato chiesto di salire sul palco, e non ci sarebbe stato più alcun modo di tornare indietro, e una parte di lui sarebbe stata sollevata nel sapere che non avrebbe avuto nessun’altra scelta. Una parte di lui sarebbe stata elettrizzata, meravigliata ed in attesa, e di solito questa parte gli faceva attorcigliare lo stomaco.

“Tocca a te, Harry,” sentì, e con un piccolo cenno in risposta, il suo corpo si mosse in automatico in avanti, il programma che gli scivolava dalle mani e svolazzava fino a posarsi sul pavimento in legno.

Le persone applaudirono mentre camminava tra l’orchestra verso la sua destinazione; come da abitudine, abbozzò un sorriso. Quando raggiunse la panca davanti al piano, si inchinò leggermente verso il pubblico, prima di sedersi ed appoggiare entrambe le mani sulle cosce. Riusciva a sentire il calore delle sue gambe che si irradiava tra le sue dita e desiderò lasciarle lì per calmarsi, per scaldarsi e rimuovere il gelido vuoto nelle sue braccia. Ma quando il direttore d’orchestra alzò la bacchetta, i pensieri vorticosi di Harry e i ‘e se’ svanirono in secondo piano.
Quando il primo accordo lo attraversò, rimbombando nella stanza e rimbalzando sul soffitto alto, Harry si preparò a quello che che stava per succedere. Durante gli anni, aveva elaborato un sistema - come un rituale, una serie ben ordinata di azioni - attraverso il quale incanalare quella cosa che i suoi insegnanti chiamavano musicalità.
Harry lo aveva semplicemente soprannominato Il fenomeno, perché per lui non era solo un’espressione di passione o un movimento artistico delle braccia, come invece sembrava essere per molti dei suoi compagni. Harry riusciva a sentire questa cosa, concretamente; nasceva dentro di lui durante il momento più alto della composizione e spingeva contro il suo petto, alcune volte anche dolorosamente, e Harry doveva smorzare la tensione, lasciare uscire la sensazione, abbandonare il controllo della sua mente e permettere che il fenomeno lo possedesse.
Sembrava pericolosa però, questa cosa, e così Harry si assicurò di domarla. Con la pratica di una vita e con il perfezionismo (forse paragonabile solo a quello degli dei), Harry imparò a stabilire delle condizioni al fenomeno. Solo in corrispondenza dei più elevati standard di eccellenza musicale avrebbe potuto manifestarsi: solo quando Harry se ne fosse meritato il diritto, attraverso ore di preparazione e minuziosa attenzione al dettaglio, questa cosa incredibilmente potente avrebbe potuto sciogliersi dentro di lui, solo con un’esibizione quasi vicina alla perfezione.
Perciò Harry divenne dipendente dall’esibirsi: iniziò ad aver bisogno della libertá che questa cosa gli trasmetteva perché non aveva altro sfogo per il suo cuore. La scarica di adrenalina, mischiata a questa sensazione di liberazione stremante, sconfiggevano i tentativi di Harry di spiegare il fenomeno; sapeva solo che era meglio degli orgasmi - meglio anche del sonno. Non poteva chiamarli brividi, davvero, eppure fremeva e germogliava dentro di lui come bollicine nel suo petto, come fuochi d’artificio liquidi, una vibrazione che non faceva rumore, un crescendo, una cosa vera, una cosa così bella che trasformava ogni altra sensazione in qualcosa di irrilevante.
Due movimenti del piano passarono, la struttura del tempo sospesa tra loro. Il terzo ed ultimo movimento crebbe con l'incombenza e la velocitá di una pioggia primaverile, mentre l'armonia della composizione lasciava spazio al climax finale.
Presto l’orchestra si unì ad Harry nel momento più potente della composizione, la parte superiore dell’arco, la cima delle montagne russe...
Quando la musica precipitò in risoluzione, il fenomeno rifluì attraverso le sue vene, risvegliandolo, liberandolo. Viveva per quello.

Il pezzo si concluse e lui si alzò, invaso di calore e acceso dalle ultime scosse di adrenalina. Strinse la mano del direttore d’orchestra e fece un inchino mentre il pubblico si alzava in piedi. Le luci del palco brillarono su di lui, accecandogli la vista.

Mentre Harry era sdraiato sul tavolo operatorio, riusciva ad aggrapparsi solo a quel momento, a quelle luci del palco, in quanto erano luminose come quelle che in quel momento erano sopra di lui. A malapena aveva la forza di domandarsi se si sarebbe mai più svegliato; sapeva gli avevano fatto firmare un foglio prima di portarlo con la sedia a rotelle attraverso le porte scorrevoli blu della sala operatoria. Il foglio diceva che non li avrebbe denunciati se fosse finito paralizzato?
Avevano già infilato una flebo nel suo braccio. Le luci confortevoli si abbassarono su di lui, e pensò, sará questo il mio ultimo inchino?
Prima di perdere i sensi, considerò la vita che aveva vissuto e le cose che aveva portato a termine. Sentì quasi un senso di pace: si era laureato nella scuola di musica migliore della nazione, si era esibito come un acclamato solista, aveva vinto competizioni, era appena stato ammesso all’ARD. Se fosse morto, sarebbe uscito da vincitore, al culmine della sua carriera, avendo reso giustizia alla sua musica, essendosi esibito ai più elevati standard e avendo dato alla sua arte tutto quello che aveva. Quella realizzazione lo rese fiero. Mentre tutto diventava buio, sapeva che avrebbe affrontato la morte senza rimpianti.

Tranne, forse, uno.

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Capitolo introduttivo molto molto breve, i successivi saranno molto più sostanziosi. A Giovedí prossimo!

Giorgia&Noemi

Flawless || Italian TranslationWhere stories live. Discover now