Lo voleva, più di ogni altra cosa.


«Quindi com'è questa tipa? La conosco?»

«...Non credo».


Vedeva le righe rosse lungo il suo polso, quelle fresche ancora irritate, la pelle bianca che le evidenziava come schizzi di vernice.

La vedeva chiudersi in bagno per ore, anche, e appoggiava l'orecchio alla porta.

Sentiva i suoi ansiti, la sentiva trattenere il respiro quando affondava il taglierino nella carne. Sentiva addirittura lo sgocciolio del sangue sulle piastrelle fredde.


«Non stare così rigida».

«N... non so... e poi...»

«Poi cosa

'Ho paura'. Sa che lei sta per dirlo.

Ma non glielo concede.

«Io... no, asp-...»


Vedeva.

E la sola cosa che odiava di quei tagli era il non averglieli procurati lui.


«Allora, com'è scoparsi il proprio fratello? Almeno ce l'ha il cazzo grosso?»


La odiava.

Odiava quel sorriso incerto, il modo in cui quelle labbra perennemente turgide le accarezzavano i denti e si tendevano, evidenziando il neo sulla piega del labbro superiore, quasi nascosto e proprio per questo molto più eccitante.

Odiava le sue mani, sempre gesticolanti e sinuose, delicate, lunghe, dalle dita bianchissime tempestate di lentiggini dorate.

Odiava le sue gambe, quelle gambe lunghe ma «non esattamente magre», come diceva lei, quelle ginocchia sempre unite strette, i piedi un po' incurvati verso l'interno, come i piedi dei bambini – i piedi di chi non sa ancora camminare per il mondo.

Odiava i suoi fianchi, Dio, quei fianchi, ampi, due curve perfette, che sembravano pronti – pronti, ad accogliere.

Odiava il suo sguardo.

Quello sguardo che lo penetrava, lo penetrava molto di più di quanto non avrebbe potuto fare lui con una di quelle infime puttane che di tanto in tanto si concedeva.

Quello sguardo che, se solo lei avesse voluto, se solo lei avesse saputo, avrebbe irretito qualunque uomo – se solo lei fosse stata capace di usarlo.


«Ah...»

Un ansito sussurato, una spinta in avanti.

Uno strappo.

Sta morendo su quel corpo che ama troppo. Su quell'anima che ha intaccato.

Sta morendo su di lei, anche se è lui che l'ha violata.


Una non-infanzia comune. Sapeva di violenza, ma era sempre stato così.

Erano cresciuti in cattività, ma nessuno dei due era mai cresciuto davvero: due animali in gabbia, preda e predatore; ma quell'essere venuti su insieme, concomitanti come due pezzi d'un cuore zigrinato, li aveva declassati definitivamente.

Non erano in grado di distruggersi, e in realtà non volevano; vivevano nell'incapacità di sopravvivere l'uno senza l'altra, e nell'incapacità di smettere di farsi del male a vicenda.


Si sente morire.

Si sente schiacciato, sopraffatto.

Si muove, per provare a sé stesso che è ancora vivo.

E lei grida, aggrappandosi alla sua carne, come se lui potesse sorreggerla. Grida, perché non lo sa.


«...sicuramente più del tuo».


Voleva sentirla.

Sentirla contorcersi.

Sentirla gemere.

Sentirla piangere.

Sentirla soffrire.

Piena del suo sperma, del suo membro, irrigidita dal sentirsi riempire con così tanta foga, con così tanta violenza, il corpo morbido e troppo delicato, così fragile, così cedevole sotto di lui.


Non lo sa.

Non lo saprà mai.

Non saprà mai che, anche se è lui che la sovrasta, è lei che lo ha in pugno.

Non lo saprà mai.

E lui la odia troppo per dirle che la ama.


«Quello lì è un pazzo – un sadico! Devi stargli lontana!»

«È mio fratello».

«Non cambia niente!»

«Non sei tu a dovermi dire che devo fare».

«Ti sta facendo del male! Com'è possibile che tu non riesca a vederlo?»

«Lo vedo».

«E allora perché non fai niente per fermarlo?»

«Perché non voglio che si fermi».


Gemelli, gemelli.

Solo parole.

Convenzioni.

Anche i Limiti sono Convenzioni.


Gemelli?

No...

Anime Gemelle.

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