2. Scarto

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A Enrico Galiano, che mi ha, in qualche modo, "sbloccata".
A chi c'è ancora nonostante l'attesa biblica.

Carlo si pulisce la bocca con l'avambraccio, scostando con prepotenza le briciole dalle labbra; poi solleva il volto e mi guarda negli occhi, con lo sguardo color nocciola traboccante di felicità. È raggiante.

«Cazzo, ma è buonissimo! Perché non mi ci hai portato prima?»

Sorrido, mentre aspiro rumorosamente dalla cannuccia una sorsata di the freddo alla pesca.

«Perché quando si tratta di cibo spazzatura sei persino più scassapalle di quando si parla di roba gourmet. Per te qualunque cosa non sia Mc Donald's è da buttare per definizione» rispondo, dopo aver deglutito. Dio, perché nessuno ha ancora pensato di dare un premio Nobel al the freddo? È una mano santa dal cielo, in queste giornate di luglio che sembrano essere state sputate fuori direttamente dal ventre dell'inferno.

Carlo alza le mani, in segno di resa, biascicando un "è vero" tra un pezzo di hamburger e una patatina, poi manda giù tutto con una generosa sorsata di Coca-Cola e riprende il fiato perso nella foga di mangiare con dei lunghi respiri. È incredibile: mangia con una tale voracità che va quasi in apnea. No, sul serio. È imbarazzante. Carlo non mangia: scopa col cibo.

Trovarlo a Milano, quel giorno, al supermercato, è stato una mezza mano santa, nonostante all'inizio abbia maledetto lui, la cassiera, il caffè che aveva deciso di finire, la sessione d'esame e tutti gli abitanti dei piani alti capaci di tessere le fila del destino beffardo che me l'aveva messo in mezzo ai piedi. Per questo la prima cosa che ho fatto, appena l'ho visto, è stato seguire l'istinto e darmela a gambe levate, praticamente rotolando sotto la saracinesca davanti agli occhi sbarrati del commesso.

Sì, esatto. Molto maturo da parte mia.

È stato lì che ho capito che forse avrei dovuto rivedere le mie priorità e considerare seriamente l'idea di iscrivermi in palestra, perché nonostante corressi come una forsennata, Carlo mi ha raggiunto in quattro falcate. E ok, lui è alto, gioca a basket e tutte quelle menate lì, ma in una scala di cose davvero spiacevoli da uno a Carlo che fa sesso col cibo, il fatto che la mia fuga abbia avuto una vita così breve si posiziona davvero, davvero in basso.

Mi si è piazzato davanti, pronto a marcarmi come un rugbista se necessario, e in quel momento ho capito che tutto questo era davvero ridicolo. E non parlo solo della fuga, ma proprio della situazione in generale: io che scappo a gambe levate dalle mie responsabilità come se queste avessero il volto di It.
Si possono arrivare a mettere miliardi di chilometri di distanza tra due persone o banalmente tra una persona e una situazione che non si vuole vivere o che si vuole rimuovere dal cervello come un tumore benigno, ma la vita è bastarda, mica prova pena o pietà - né fa sconti, mai. Ti mette sempre i bastoni tra le ruote e ti pone in condizioni di affrontarla, prima o poi: non potendo sfuggirci, l'unico favore che puoi fare a te stessa è sbrigarti a farci i conti, prima che sia troppo tardi, prima che le conseguenze di ciò che hai ignorato si accumulino nel tempo e trovino il modo di soffocarti e annichilarti. Più velocemente strapperai il cerotto, minore sarà il dolore che proverai.

Notizia dell'ultimo minuto: non si supera qualcosa semplicemente allontanandosene. Così facendo, infatti, lo si accantona e basta. Lo si sposta dalla vista, lo si dimentica, quasi – anche se è messo nell'angolo, tipo alla fine del campo visivo, quella cosa fastidiosa che continui a notare con la coda dell'occhio – , lo si nasconde gettandolo sotto al tappeto insieme ai cumuli di polvere che vuoi togliere di mezzo il prima possibile quando all'improvviso gli ospiti suonano il campanello e casa tua è un delirio, ma non hai tempo per riordinare.

Tu sei - Seconda parte (La fenice)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora