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La luce aranciata del tardo pomeriggio era spezzata, a tratti, dalla fila di cipressi che fiancheggiava il muretto sul quale, seduta con i piedi a penzoloni sul vuoto, stava Dazira.

Sotto di lei, la brezza del mare le accarezzava i capelli sciolti, più lunghi di quanto fosse solita portare. In effetti, aveva deciso di non tagliarli.

Le sue mani stavano accarezzando delicatamente i rilievi sulle pagine in cartapecora del libro, gli occhi puntati su un'illustrazione. Un'immagine che aveva catturato la sua attenzione dal primo momento in cui, nelle sue stanze, aveva aperto quelle pagine.

Raffigurava un mostro. Raffigurava il Nero. In qualche modo, era come guardarsi allo specchio.

Le zanne appuntite, le ali sbrandellate, del colore della pece. Il corpo, animalesco, era coperto di pelo.

A guardare quel disegno stilizzato, Dazira rabbrividì. Lei era quello. Era quella bestia, ciò che gli altri vedevano.

I suoi occhi, però, furono improvvisamente attirati dalla dicitura in basso, scritta a mano, con un'elegante grafia e l'inchiostro nero. "Colpa", c'era annotato.

Per infiniti attimi, la ragazza non riuscì a distogliere lo sguardo e i pensieri da quelle cinque, semplici lettere.

Colpa. Era quello che sentiva. Era un marchio indelebile sulla sua pelle. Quelle cinque lettere parevano, a vederle, quasi liberatorie. Lei era colpevole, e lo sarebbe stata sempre.

Leggere quella parola, posta proprio sotto a quell'immagine, fu, per certi versi, gratificante. Dazira sapeva che non avrebbe mai potuto discernere completamente sé stessa e la volontà del demone (benché, ora, riuscisse a controllarne la fame), ma, quella didascalia pareva giustificare tutti quegli omicidi rimasti ingiustificati.

Lei non poteva evitarlo, e il libro ne era la prova.

Il punto era: la prova contro chi? Nessuno la stava condannando per ciò che aveva fatto. Anzi, ora era un'eroina. Ma, allora, per quale cavolo di motivo ci teneva tanto a giustificarsi?

Quel libro, forse, avrebbe risposto a molte delle sue domande. Per certi versi, l'aveva già fatto quando la principessa Pheanie, durante la guerra, le aveva fatto ricevere alcune lettere nelle quali raccontava, appunto, ciò che aveva letto nella copia che Gineris aveva sottratto.

In quel momento, la ragazza s'illuminò. C'era qualcosa, in ciò che aveva letto al fronte, che le ricordava quella parola.

"Colpa", la principessa, l'aveva già nominata.

Con nuovo slancio, Dazira iniziò a sfogliare il libro, alla ricerca di quel passaggio, quello che le era già stato riportato da Pheanie durante la corrispondenza.

Ci vollero alcuni minuti, ma, ad un tratto, Dazira riconobbe parte della storia e, senza soffermarsi troppo sul racconto in sé, recuperò quel pezzo di storia che, per giorni, le aveva dato qualcosa a cui pensare, quando combatteva al fronte:

«Voglio solo avvertirvi: se vorrete tra le vostre mani il potere divino, dovrete subire in cambio tante sofferenze quanti sono stati i sacrifici!»

«Sofferenze?» domandò ancora Dorothar, prendendo coraggio e facendosi avanti mentre si mostrava in tutta la sua fiera ambizione. L'ombra si mosse a sua volta ed indicò gli affreschi che erano stati dipinti sul muro del santuario. «Cinque grandi supplizi che dovrete sopportare voi stesso: dolore fisico, eterna solitudine, perdita dei cari, senso di colpa, l'assenza del calore umano» rispose l'ombra del santuario.

Cinque grandi supplizi. Cinque grandi sofferenze che lei stessa provava e avrebbe provato.

Una domanda, a quel punto, le sorse spontanea e, con le dita, sfogliò di nuovo le delicate pagine del libro, giungendo di nuovo all'icona del demone: perché, se le sofferenze erano cinque, lì ce n'era scritta soltanto una?

LA QUINTA LAMA (III) - I supplizi del potereWhere stories live. Discover now