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L'acqua scorreva sul mio corpo, indisturbata e indifferente. Meglio per lei.
Io guardavo in basso, come in uno stato di trance. Mi succedeva sempre in doccia, ecco perchè preferisco la vasca. E l'avrei pure fatta, ma volevo provare.
Osservai la mia pelle, pallida, bianca, senza alcuna traccia di rosso su di essa. Avrei dovuto fare qualche straordinario per questa doccia.

~

<Fisher!>

Alzai il capo dal banco, sbattendo velocemente le palpebre.

<Presente.>

Un risolino proruppe nell'aula.
Non li sopporto. Odio le loro etichette.

<Quindi? Potrebbe rispondere alla domanda?>

Scena muta.
La campanella suonò.
Mi diressi all'uscita, per arrivare alla successiva aula, quando il professore mi fermó, chiamandomi.
Gli sono debitore. So che se non mi avesse fermato molto probabilmente sarei stato il mirino perfetto per alcuni di loro, pronti a giudicare e insultare in base al nulla. A volte vorrei essere diverso. Vorrei essere ciò che desidero, senza dover affrontare la sofferenza che devo sorbirmi ora, prima che possa raggiungere il mio obiettivo.
Vorrei essere apprezzato.

<Fisher, come sta andando?>

Aveva cambiato tono, ora era sinceramente interessato. Gordon mi seguiva da un anno, ormai, ed essendo quello silenzioso che finiva i lavori prima di tutti, aveva coltivato una certa simpatia nei miei confronti. E data la mia scarsa socialità, un amico adulto non mi dispiaceva. Perfino lui aveva un segno rosso sulle labbra. Certo, è sposato.

<Bene prof, ieri ho dovuto fare degli straordinari al negozio, le prometto che non succederà di nuovo.>

Si fidò, lasciandomi andare.

La giornata passó così, fra sbadigli e ore di puro e proprio riposo.
Una volta fuori da scuola mi infilai gli auricolari nelle orecchie, facendoli passare da sotto la felpa, skate a terra e partii, verso casa. Sì, abito da solo ed un mezzo di trasporto sarebbe il minimo, ma non sono ancora riuscito a prendere la patente.
Non che mi dispiaccia, eh, perchè lo skate è la cosa che preferisco dopo la musica: mi fa sentire libero e autonomo, come se fossi già adulto. È dalla seconda media che ho questo skate con me, preso grande apposta quando ero piccolo, cosí che durasse. Era un tipo semplice, nero. E stranamente, col passare del tempo restò così, a differenza di tanti altri che hanno una tavola. Tendono a personalizzarla all'estremo, anche se in realtà racconta un sacco anche così: ogni graffio, ogni cigolio, ogni difetto la rende la mia tavola, cosa che nessuno puó copiare in nessun'altro modo.

Stavo pensando a questo ed altro, mentre nelle orecchie gli Slipknot urlavano e si incazzavano col mondo, rovinando il mio udito. Ma a me, non dispiaceva per niente.

Arrivai alla fermata del bus che prendo di solito, dato che casa mia è abbastanza lontanina, e solo con lo skate non ce la farei.
Di solito è abitudine stare nell'ultimo posto in fondo, che stranamente è sempre libero, come se lo lasciassero vuoto per me, ma oggi una ragazza lo aveva occupato.

Pazienza.
Stare in piedi non guasta. Tanto, sto su solo per cinque fermate.
Dato che ero in piedi, quindi non più coperto dagli altri passeggeri, Aaron mi riconobbe, chiamandomi a sè. Mi tolsi una cuffia, abbassando il volume, e lo raggiunsi. Solo dopo mi resi conto che non era solo, anzi. Con lui c'era uno spilungone dai lunghi capelli mori. Metallaro.
Pensai subito, quasi certo che fosse così. Non lo degnai di altri sguardi, parlando con il mio amico del piú e del meno.
Ma ogni volta che battevo le palpebre, sentivo lo sguardo dell'altro su di me. Perchè la gente non viene educata a casa? È irritante. Tutti dovrebbero imparare le buone maniere, fin da piccoli, cosí da non rompere i coglioni per tutta la vita.

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