Capitolo Primo

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C'era qualcosa di straordinario in New York: nonostante il tempo trascorso a camminare per le sue strade, la metropoli sembrava mutare di giorno in giorno e appariva sempre diversa agli occhi dei suoi spettatori.

Louis odiava la monotonia, odiava frequentare sempre gli stessi luoghi, parlare con le medesime persone, vedere i soliti volti.

Certe volte il desiderio di allontanarsi dalla quotidianità era così impellente che faticava ad accettare la presenza nel soggiorno del suo appartamento del suo coinquilino e amico, che non poteva stare da nessun'altra parte se non nella casa che condividevano.

Per questo motivo Louis si era appassionato alla musica: perché non era mai la stessa e bastava qualche nota per andare dovunque.

Per la stessa ragione, appena aveva terminato gli studi aveva abbandonato il suo piccolo paese natale e si era spostato nella 'città che non dorme mai'.

E sempre per questo quella sera di inizio ottobre, invece che chiedere al tassista di svoltare all'incrocio di sempre per raggiungere il ponte di Brooklyn che lo avrebbe portato nella caotica Manatthan, aveva deciso di proseguire diritto e raggiungere il quartiere di Brooklyn Heights.

Tutti conoscevano la Brooklyn Promenade, tutti almeno una volta nella vita dovevano attraversarla e Louis lo aveva fatto decine di volte, con lo sguardo rivolto ai mastodontici edifici, lontani solo un paio di chilometri.

Pensò di raggiungerla, ma ancora una volta lo assalì la tentazione di scoprire qualcosa di nuovo.

Camminò a vuoto, mescolandosi tra persone che non conosceva, osservando le loro andature, i cappotti nei quali erano stretti, gli schizzi che le suole delle loro scarpe provocavano ad ogni passo, infrangendosi contro le pozzanghere che il recente temporale aveva lasciato sui marciapiedi.

Lesse distrattamente il cartello sul lato dell'edificio all'incrocio con Henry Street mentre attendeva che il semaforo dell'attraversamento pedonale scattasse sul verde, e raggiunse Montague Street.

Si fermò poche centinaia di metri più avanti, dove i bagliori azzurri di un elegante locale si specchiavano sulla stoffa nera delle sue scarpe.

Osservò l'interno e vi scorse un lungo banco bar e un'ampia sala nella quale decine di giovani ondeggiavano a ritmo di musica, seduti ai loro tavoli in stile minimal. Sull'angolo della stanza, in disparte rispetto al grande ammasso di corpi, un tavolo da biliardo, attorno al quale un gruppo di uomini discutevano con i loro bicchieri tra le mani e le giacche eleganti che li fasciavano.

Fu proprio questo dettaglio che spinse Louis a varcare l'ingresso: quel tavolo in ardesia foderato di panno verde sulla quale lui era così maledettamente bravo a far rotolare le palle a colpi di stecca.

Dentro faceva tremendamente caldo, infatti in pochi minuti sostituì la giacca- che conservava appena il ricordo del vento freddo di ottobre- con una maglia a maniche corte del suo guardaroba monocromatico, che lasciava libertà agli innumerevoli tatuaggi che gli decoravano le braccia.

Aveva una particolare passione per il nero e i tatuaggi.

Si concesse una birra per sciogliere i nervi e rilassarsi, ma solo dopo averla bevuta in lunghi sorsi si avvicinò al gruppo di persone che aveva adocchiato dall'esterno.

"Qualcuno gioca?" aveva chiesto, osservandoli.

Gli uomini si erano guardati tra loro, con un cipiglio divertito sui volti.

"Abbiamo qualcuno che può fare al caso tuo." aveva detto qualcuno, facendo un gesto con la mano verso una delle poltroncine in pelle che percorrevano il perimetro della stanza.

Il destino che ci ha fatto incontrareWhere stories live. Discover now