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Giocarsi il primo amore in una partita a carte? Lo aveva fatto.

Aveva diciassette anni, i capelli scuri lunghi fino al fondoschiena e le labbra carnose ereditate dalla madre. Gli aveva sorriso, consapevole che, se avesse perso, si sarebbe dovuta prodigare nella più imbarazzante –nonché prima- confessione della propria esistenza. E ovviamente era andata così.

La sua prima vera storia d'amore era iniziata quindi sull'umido tavolo in plastica di un bar da quattro soldi, l'ultimo giorno di un agosto torrido, con qualche birra in corpo –perché tanto l'età non la chiedevano mai a nessuno- e moltissima tensione nei muscoli. Si era limitata a poche parole, però: un rapido "mi piaci" e lui, come se sin da principio ne fosse stato al corrente, le aveva sorriso, per poi allungarsi verso di lei e baciarla. Baciarla piano, da bravo ragazzo, come dimentico di tutte le storie che lei gli aveva raccontato riguardo il fatto che le piacesse flirtare con i ragazzi alle feste, che non fosse una santarellina, e che alcuni tendessero a calunniarla ed etichettarla come "troia".

"Ma siamo nel duemilaquindici quindi non ci faccio caso e basta." Aveva commentato.

Forse a fare innamorare lui era stata proprio quella frase così leggera. Quella sua maniera di dire che alla fine non le importava davvero di nessuno, che tanto erano tutti bastardi, ma che ormai lo sapeva fin troppo bene; d'altra parte aveva perso la verginità con uno di loro. Gli aveva parlato anche di questo:
"Sì, ero follemente cotta di quell'imbecille, ma lui voleva solo sfogarsi un po'."

Aveva un modo di fare così misterioso che, continuava a ripetersi, sarebbe potuto andare avanti a guardarla e studiarla come un pazzo per sempre, senza mai stancarsi. I suoi occhi sottili, vagamente felini, lo facevano pensare a una bellezza orientale, proveniente da un paese così distante e così pieno di fascino che solamente su di lei sarebbero potuti calzare bene.

Ciò nonostante, Mia non si vedeva bella; non portava mai gonne, né abiti eleganti. Durante l'estate, che tanto detestava, a stento indossava gli shorts. Era così bizzarra che Mirco non aveva mai idea di cosa si sarebbe dovuto aspettare da lei.

Era come se fosse stata in grado di vedere magia in ogni più piccolo e degradato angolo di mondo, pur avendo perso fiducia in qualsiasi cosa.

E fumava le sue stesse sigarette, solamente molto più di quante ne fumasse lui.


Cosa vedesse in lui Mia, invece, era ai più sconosciuto; soprattutto agli amici di lei, che faticavano non poco a immaginare quello spirito libero così difficile da legare a un secondo essere, improvvisamente innamorato. Per lei, però, era evidente:

"è così diverso da me." E le piaceva da morire.

Per forza di cose, dopo un'infanzia passata a essere presa in giro per i suoi gusti bizzarri, i tagli di capelli da maschietto e la musica datata che ascoltava, Mia era stata costretta a circondarsi esclusivamente di outsider. E li amava; non aveva mai nascosto di essersi accuratamente scelta gli amici più sociopatici e detestati del pidocchiosissimo paese in cui abitava, nonché di andarne tremendamente fiera, ma non si era mai avvicinata a nessuna persona al di fuori di quella cerchia. Perciò, per quanto a un occhio esterno gli "strani" potessero essere lei e la sua compagnia, Mia non riuscì a fare a meno di pensare che Mirco fosse un ragazzo proprio interessante con la sua testa perfettamente in equilibrio sulle spalle, una passione sfrenata per il buon vino e proveniente dal prototipo di famiglia perfetta. Le piaceva veramente, soprattutto quando si ritrovavano a parlare, e in particolare quando vedeva le sue reazioni così sorprese di fronte tutte quelle proprie elucubrazioni assolutamente folli sull'esistenza.

MiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora