CAPITOLO 4

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«Fate piano...» Improvvisamente delle voci echeggiarono nel silenzio del bosco. «Deve essere per forza da queste parti.» «Silenzio!»

Le cinque guardie reali erano tornate e, imperterrite, continuavano la loro ricerca di cui io ero il bottino principale.

Trattenni il respiro e mi immobilizzai completamente. Attaccarli era fuori questione, cinque contro uno, impossibile vincere. Dovevo rimanere nascosta nella speranza che se ne andassero in fretta, ma così non fu. Bazzicavano nella stessa zona già da più di mezz'ora e non credevo che se ne sarebbero andati presto.

Passò un'altra mezz'ora e non percepii più la loro presenza, così mi decisi a scendere, intenta a tornare a casa, ma non feci in tempo ad appoggiare il piede al suolo che un fischio sfiorò il mio orecchio e il mio cuore saltò un battito: poco più in là, conficcata nella corteccia, c'era una freccia.

Senza neanche guardarmi alle spalle iniziai a correre verso la sponda del fiume, non più in piena o mosso dalle rapide causate dalla pioggia. In quel momento un uomo piombò davanti a me, cadendo dall'alto, e sbarrandomi la strada. Mi girai e ne trovai altri due alle mie spalle. Anche la destra e la sinistra erano chiuse: mi avevano accerchiata.

Il primo si fece avanti con un pugno dritto in volto, che riuscii ad evitare all'ultimo, afferrandogli il braccio e scaraventandolo al suolo. Ancora prima che potessi finire con questo, il secondo mi si lanciò a dosso, trattenendomi per le spalle e immobilizzandomi per il terzo che veniva davanti. Approfittai di quella situazione per darmi uno slancio tale da calciare il terzo sull'addome, per poi ricadere di peso sul secondo, liberandomi dalla sua presa. Rotolai fino all'albero più vicino e riuscii a schivare la prima pugnalata del quarto uomo. La seconda però fu più inaspettata e mi centrò l'addome. Soffocai un grido di dolore e mi accasciai per terra. Vedendo l'uomo continuare ad avanzare, presi a scalciare la terra ancora bagnata, strisciando all'indietro, mentre ad ogni sforzo la mano che spingevo sull'addome si impregnava sempre di più di sangue. Un altro attacco mi ferì la guancia, ma riuscii ad interrompere quello successivo: fui in grado, anche se con la mano non dominante, di prendere il pugnale e lanciarlo nel piede della guardia, che si fermò per un istante, bloccato dalle fitte di dolore.

Quel momento di esitazione segnò la sua vita: inaspettatamente, Gideon ci raggiunse ad una velocità impressionante e, con una forte spinta, si buttò a dosso alla guardia, come una belva sulla sua preda.

«Non ucciderlo!» Urlai io confusa e, anche se non mi piaceva ammetterlo, spaventata.

A quelle parole Gideon si immobilizzò all'istante, obbligato dal sigillo ad obbedirmi, e mi raggiunse giusto in tempo per evitare che una freccia mi colpisse: così anche il quinto e ultimo uomo fu presto messo fuori combattimento.

«Perché non l'hai ucciso?!»

Lo sguardo feroce che Gideon mi rivolse mi fece rabbrividire.

«Forse per te è normale uccidere, ma io sono una ladra, non un'assassina!»

Ignorai il dolore e mi sforzai di parlare, ma evidentemente non fui abbastanza convincente perché Gideon cambiò subito argomento.

«Sei ferita.»

Si avvicinò al mio fianco come per aiutarmi ad alzarmi, ma io rifiutai il suo gesto, appoggiandomi al tronco.

«Fatti aiutare! Stai sanguinando!» Si oppose lui.

«Ce la faccio benissimo anche da so-» Una fitta mi interruppe.

Incrociai di nuovo lo sguardo di Gideon, notando il modo sprezzante in cui, anche se per un solo attimo, aveva arricciato il naso.

«Fai come ti pare. Io torno nel fiume.»

Non mi voltai neanche per assicurarmi che le sue parole rispecchiassero davvero le sue azioni, si capiva dal tono della sua voce e dalla luce nei suoi occhi quanto serio fosse.

«Le nostre strade si separano qui.» Dissi infine. «Ti libero dal contratto.»

Dopo aver pronunciato quelle parole lo sentii tuffarsi nell'acqua, mentre io continuavo a camminare, lentamente, nel bosco, con la mano pressata sull'addome in un tentativo fallito di tamponare la ferita.

Il mio viaggio, tuttavia, fu presto interrotto: la fatica accumulata, il sonno perso e la ferita erano troppo. Mi accasciai tra le radici di un albero e con l'ausilio di una sola mano, cercai di accendere un fuoco. In quelle condizioni non sarei neanche riuscita ad andare a caccia, ottenendo da mangiare per recuperare le forze, quindi feci l'unica cosa possibile: cauterizzare la ferita.

Rigirai più volte la lama del pugnale sul fuoco e, quando fu abbastanza calda, la appoggiai sul taglio. Un orribile suono sfrigolante e un nauseante odore di carne bruciata, riempirono l'aria. Il cuore accelerò il suo battito e, con esso, aumentò la pressione alla testa. Dalla fronte cadevano rivoli di sudore, i quali appiccicavano i capelli al collo, le mani tremanti non riuscivano ad impugnare con fermezza la daga e la vista mi si stava offuscando. Il dolore era così intenso da procurarmi fitte lancinanti in ogni punto del corpo, mentre dallo stomaco saliva la sola necessità di vomitare.

Quando sentii dei passi avvicinarsi era troppo tardi. I miei occhi si chiusero e non distinsi più nulla. 

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