CAPITOLO 1: IL NUOVO ARRIVATO

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7:00 a.m.

La sveglia suonò, puntuale come sempre, quel piovoso lunedì mattina.

Mi alzai contro voglia dal mio caldo letto e mi diressi nel mio bagno privato per farmi una doccia calda, non c'era modo migliore per poter cominciare la giornata un po' più rilassata.

Uscita dalla mia zona di comfort speciale un freddo gelido colpì il mio corpo nudo facendomi venire la pelle d'oca e riempiendomi di brividi, portai il mio accappatoio bianco attorno a me e mi ci rinchiusi dentro cercando di trarne più calore possibile.

Mi diressi in camera e cominciai a vestirmi prestando molta più attenzione di quanta ce ne volesse in realtà. Per poco non mi venne un' infarto non appena vidi la mia immagine riflessa nel mio grande specchio a muro, dovevo smetterla di ridurmi in questi stati ogni sera, non ero più io e nonostante lo sapessi bene non riuscivo a farne a meno. Portai una mano sulla mia guancia pallida e asciugai la piccola lacrima che mi scorreva in viso. Tirai un piccolo sospiro e cominciai a pettinarmi i capelli biondi, non mi truccai, i miei occhi azzurri erano già tristi di loro non avevo bisogno di qualcosa che lo facesse notare ancora di più.

Diedi un ultima occhiata al mio "outfit" che consisteva in un maglione bianco di tre taglie in più e dei jeans chiari , presi le mie fila bianche e le misi con velocità. Mi diressi al piano di sotto mi infilai la mia giacca nera, presi lo zaino, le chiavi, l'ombrello ed uscii di casa.

Il freddo di metà ottobre cominciava a farsi sentire a Londra, mi guardai in giro mentre passeggiavo, fortunatamente non c'era nessun viso familiare. La pioggia che batteva leggera sul mio ombrello mi rilassava ma più mi avvicinavo a quello stupido edificio più l'ansia e i nervi cominciavano a farsi sentire.

Ogni mattina, da ben quattro anni, mi svegliavo agitata ed impaurita di affrontare ogni giornata scolastica. Tutta colpa di quegli stupidi insulti che ricevevo, cercavo di essere il più forte possibile ma più crescevo e più le cose continuavano a peggiorare distruggendomi sempre di più, giorno dopo giorno, anno dopo anno.

Arrivata davanti all'imponente edificio un enorme brivido mi attraversò la schiena, sussultai leggermente e, titubante, entrai in quel carcere chiamato anche liceo.

Fortunatamente passai inosservata nei corridoi, almeno finché non arrivai al mio armadietto quando qualcuno decise " accidentalmente" di chiudermelo in faccia e farmi rimanere quasi senza qualche dita. Sbuffai leggermente e cercai con tutta me stessa di non far uscire quelle maledette lacrime che pulsavano nei miei occhi chiari, bel modo di cominciare il lunedì.

Dopo aver preso il materiale necessario per le prime lezioni e aver posato ciò che non serviva, mi diressi nella classe di letteratura inglese, la mia materia preferita. Entrai con lo sguardo fisso sul pavimento sperando con tutta me stessa che quelle poche persone che occupavano l'abitacolo non mi notassero, ma ovviamente la fortuna non era con me quel lunedì mattina. I miei "compagni di classe" cominciarono a sparlare tra di loro a voce molto alta insultandomi come se non fossi lì con loro. Mi diressi al mio solito banco e guardai il posto affianco al mio, lasciato vuoto appositamente perché nessuno voleva avere a che fare con me, la ragazza troppo debole per difendersi e che lasciava libero arbitrio a qualsiasi tipo di scherzo le venisse fatto.

<<Buongiorno ragazzi, prendete posto forza.>>

Il mio sguardo si alzò verso la professoressa, indossava una gonna a tubino nera e una semplice camicia bianca, mi chiedevo come facesse a non avere freddo dato che le temperature erano calate di tanto negli ultimi giorni. Notai poco dopo un ragazzo, corporatura perfetta, capelli leggermente lunghi di un castano chiaro e due pozze verdi prendevano il posto dei suoi occhi.

<<Bene, lui è Matt. Si è trasferito da poco, vedete di comportarvi bene e accoglietelo in modo adeguato. Prego caro accomodati pure affianco alla Signorina Hill.>>

AUTOLESIONISM (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora