Crida mia

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Certo che ne era trascorso parecchio di tempo dall'ultima volta che si erano incontrati. Quanti anni? Una ventina? Ad occhio e croce il risultato doveva essere giusto, nonostante non fosse mai stata brava a fare i calcoli.

«Quindi?» chiese lui, dopo averla lasciata sorseggiare ancora un goccio di amaretto. «Com'è andata la giornata?».

La donna fece spallucce: non c'era davvero nulla di così tanto interessante da raccontare, le loro chiacchiere rischiavano di diventare inconsistenti. «C'è una domanda di riserva?» controrispose, sorridendo rassegnata.

Aveva lasciato l'ultima traccia di rossetto sul vetro.


Era rimasta la stessa di sempre, un piccolo pesce rosso. Non che fosse smarrita in un mare di squali, piuttosto non si riusciva mai a capire bene a cosa stesse pensando.

Altrettanto rosse e luccicanti dovevano essere state le sue labbra, non più rosee ed innocenti come un tempo.

Quella notte, però, erano sbiadite. Una sfumatura tra passato e presente.

«Hai una famiglia, adesso» ruppe il silenzio, e la vide chiaramente riscuotersi da chissà quale fantasia.

Eppure aveva già la risposta pronta: «L'ho sempre avuta».

L'uomo versò dell'altro liquore.


Eppure lui non era cambiato. Era esattamente come lo ricordava, in ogni dettaglio, anche in quelli più sbiaditi. Solo a lei il tempo stava giocando brutti scherzi, invecchiandola, rubandole notte dopo notte quella bellezza che aveva conquistato dopo tanti sacrifici?

Gli scoccò un'occhiata invidiosa, anche se i suoi occhi caldi non erano capaci di certe emozioni - invece i suoi sì che avrebbero potuto, gelidi come il ghiaccio, ma sempre brillanti di luce allegra. «Non vale,» bofonchiò, aggrottando la fronte «vorrei tornare indietro».

L'uomo scosse il capo. «Non si può».

«Allora tu come ci riesci?» esclamò lei, allargando le braccia e lasciandole poi ricadere lungo i fianchi. «Me lo dici?».

Quarant'anni di bambina.


Già, quasi quaranta. Una donna. Una donna che portava con sé tutti i tratti dei suoi genitori, dei suoi nonni, perfino dei suoi bisnonni, in un miscuglio particolare che era tutto suo. Una donna orgogliosa di essere un membro di quella famiglia.

Così come lo era stato lui.

Annegò lo sguardo nel suo bicchiere. Se fosse stato meno stoico, avrebbe pianto.

«Sono così felice che tu sia qui».

Sollevò il capo.


Il loro mazzo di carte.

Sbiadito, consumato, stropicciato. Un po' come loro.

«Giochiamo a briscola?».


Adesso non c'era più bisogno di lasciarla vincere: potevano giocare ad armi pari. Meno male che almeno a lei era riuscito a trasmettere la bravura nel gioco; a suo padre, invece, non era mai piaciuto quel genere di intrattenimento.

Era divertente osservarla ad ogni mossa. Quel piccolo pesce rosso era davvero imprevedibile e, quando sembrava lasciar trapelare qualche accenno di emozione, puntualmente c'era da domandarsi se si trattasse di un bluff o meno.

«Ho studiato cinema e teatro, sai» gli spiegò poi. Sì, aveva un po' gonfiato il petto con orgoglio, anche se cercava di non darlo troppo a vedere. «E scrivo, scrivo tanto, come quando ero piccola».

Il suo gigante buono sorrise. «Lo so».



«Papà avrebbe tanto voluto, ma io non sono mai stata brava in matematica».

«Neanche io».



La donna si voltò di scatto.

«Tu non dovresti essere qui» realizzò finalmente.

Che crudeltà, l'alba.



Il pesciolino rosso era da solo nella boccia. Non restava altro da fare che romperla.



Chissà quando si sarebbero rivisti di nuovo. Perché rovinare un momento così bello? Era proprio necessario dover realizzare, quanto fosse irreale tutto quello che aveva appena vissuto?

Quanto possono essere fragili gli esseri umani? Sempre pronti ad aggrapparsi a ricordi flebili, a immagini che galleggiano nel subconscio, a desideri che sarebbero pronti a realizzare anche a costo di infrangere le leggi del raziocinio.

Eppure quello era così vero, lui era così reale, così come tutte le emozioni che aveva provato in quel mare onirico di parole, azioni, sensazioni.

«Ti voglio bene» boccheggiò con una lentezza straziante.

«Crida mia».*



Nota: *Dal verbo cridä, in dialetto piacentino significa "Non piangere".

Ho deciso di scrivere una nota diversa dal solito, per dare qualche chiarimento in merito alla storia che avete appena letto

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Ho deciso di scrivere una nota diversa dal solito, per dare qualche chiarimento in merito alla storia che avete appena letto. Si tratta di un resoconto scritto di un sogno e come tale ho cercato di renderlo quanto più onirico, confuso e impalpabile possibile. Forse non sarà riuscito nel migliore dei modi, ma ci tenevo davvero a scriverlo.

, questo racconto è dedicato ad un "gigante buono" per me davvero importante. Desideravo scrivere qualcosa per lui, in occasione del suo anniversario.

No, non ho quarant'anni, ma mi auguro di incontrarlo di nuovo nei miei sogni per almeno vent'anni ancora.

, ho davvero un rossetto color pesce rosso.

Grazie di cuore per aver letto questa storia! Mi auguro che questo esperimento vi sia piaciuto, che perlomeno vi abbia trasmesso qualche emozione particolare. Mi farebbe molto piacere ricevere da parte vostra un commento a riguardo!

Oggi vi risparmio tutte le procedure di "supporto", ma mi auguro di rivedervi martedì prossimo!

P.C.R.

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