Stirai le labbra in un ghigno arrabbiato, abbassai di poco la guardia ed ecco: un rumore che non mi aspettavo giunse alle mie orecchie. L'ombra, col suo pelo nero, mi balzò addosso per la seconda volta. La schivai e strinsi il pugnale, maledicendomi per aver lasciato la pistola d'ordinanza in hotel.
La pantera si voltò ringhiando verso di me, dopo aver frenato la sua caduta. Era una bestia enorme e gli occhi e le zanne rilucevano nella scarsa luce in strada.

Nadine?

«Se ci provi un'altra volta» la ammonii, «sarò autorizzato a ucciderti».

Il felino ruggì. Iniziò a girarmi intorno in un movimento già visto, ma cercai di convincermi che quella non fosse la ragazza lasciata da poco. Diversi mannari nervosi seguivano quell'istinto...

«Nadine?» provai a dire. Un secondo ruggito mi fece serrare la bocca.
Iniziai a sentire il peso dell'argento tra le dita, assieme al peso di quell'incontro.

Non potevo ucciderla.

Non perché pensavo che fosse la ragazza, ma perché, se avessi ammazzato un membro delle due famiglie mannare di Shrub Town, la mia indagine sarebbe diventata un vero e proprio inferno – non volevo davvero credere che fossero loro gli artefici dell'omicidio – e allora tanti saluti al mio veloce ritorno a Port St. Matthew. Tanti saluti al mio appartamento con vista, tanti saluti al maledettissimo condizionatore, tanti saluti alla civiltà.

«Non voglio farti del male» scandii. «E non voglio fare del male a nessuno della tua famiglia, ne abbiamo già parlato, maledizione. Lasciami trovare l'assassino di Dolly e me ne andrò da questo posto più che volentieri. Quante volte devo ripetermi?»

La pantera rimase immobile con gli occhi su di me, ma la coda sferzava agitata l'aria attorno a sé.

«Senti... facciamo che io, adesso, poso il pugnale. Sì, lo so che ti preoccupa. Facciamo che sparisci in un vicolo, io non ti verrò a cercare e faremo finta che niente di tutto questo sia successo».

Il mannaro dischiuse le fauci e ringhiò con forza, non appena mossi la mano per fare ciò che avevo proposto.
Mi immobilizzai, tenendo l'arma con due dita.

«Non fare così» mormorai, «dai, facciamo finta di essere amici».

Quando la bestia mosse un passo nella mia direzione, riagguantai il pugnale con fermezza e lo puntai nuovamente verso i suoi occhi gialli.

Che schifo di situazione, pensai. E tutto per colpa di una sola persona.

Non mi andava di sporcarmi di sangue non mio, non mi andava niente di tutto quello!

«Non attaccare!» sentii gridare alle mie spalle. Non mi voltai, né lasciai la presa sull'arma.

Eccola, la "sola" persona che credevo di avere di fronte.

«Ethan» mi chiamò allarmata Nadine dietro di me. «Ethan, non fargli del male».

Nel rumore del vento che si sposta, la ragazza mi si affiancò. Vidi, con la coda dell'occhio, che era senza scarpe e che aveva i capelli arruffati e pieni di foglie e rametti spezzati. La magra consolazione che ebbi da quella vista fu che, almeno, ora sapevo che la pantera non era lei. Non era stata lei ad attaccarmi.

«Non lo farò» la rassicurai, «a meno che, chiunque sia questo mannaro, non provi farlo lui stesso... di nuovo».

«Di nuovo?» Nadine cercò il mio sguardo, ma senza apparentemente far caso alla mia camicia sfregiata, poi ringhiò furiosa verso la pantera, che fece un passo indietro. Strinsi l'argento tra le mani, i palmi che iniziavano a sudare un po' troppo.

«Sei un fottutissimo imbecille!» le gridò contro. «Credevi davvero di poter sistemare le cose così?»

Ma non disse il suo nome, che era ciò in cui stavo sperando con tutte le mie forze.

«Signor White» mi disse la ragazza, «se non ti dispiace, questa è una cosa che devo risolvere ora e da sola».

Sembrava fuori di sé. Nadine non era stupida: sapeva che il mannaro della sua famiglia aveva creato un bel casino. Quello che non sapeva, però, era della mia disponibilità a lasciar perdere l'accaduto.

«Signor White... Ethan» mi richiamò. «Per favore».

I suoi occhi lampeggiarono arrabbiati, mentre il corpo mostrava i primi sintomi della trasformazione.

Avrei potuto calmarla, dicendole che quell'attacco non aveva, e non avrebbe, cambiato niente.

Avrei potuto calmarla dicendole che nessuno dei due si era ferito prima del suo arrivo, a parte il graffio sullo sterno.

Avrei potuto calmarla in mille modi per evitare quel confronto tra parenti, e il dolore della trasformazione.

La guardai spogliarsi della maglietta e dei jeans, sputandomi, con astio, di fare quello che volevo.
La guardai tremare e contrarre il volto in uno spasmo di dolore, allora le presi un braccio e abbassai il pugnale.

Nadine mi guardò furente. Aveva gli occhi completamente gialli e la bocca piegata a contenere le zanne che si stavano facendo largo tra i suoi denti umani.

***

Avrei voluto lavorare un po' di più su questo capitolo, ma tra una cosa e l'altra avrei rischiato di aggiornare nel mese di poi nell'anno di mai

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Avrei voluto lavorare un po' di più su questo capitolo, ma tra una cosa e l'altra avrei rischiato di aggiornare nel mese di poi nell'anno di mai. Quindi ecco qua. Ve lo aspettavate? E chi credete che sia la panterona arrabbiata?
Comunque io e Serena abbiamo deciso di provare a modificare la sinossi della storia per provare ad attrarre un po' più di lettori (siete davvero pochini qui 😢) e ora ci stiamo lavorando sopra. Probabilmente richiederemo il vostro parere e supporto come sempre
A presto~

 Probabilmente richiederemo il vostro parere e supporto come sempre ❤A presto~

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