Capitolo 1.

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"Non ci andrò papà" gridò Filippo sbattendo i pugni sul tavolo della cucina, con gli occhi infuocati che erano indirizzati verso il  padre, che si trovava sull'altro lato della struttura in marmo, con aria altrettanto di sfida. Sebbene mostrasse autorità, la sua aria era composta, piuttosto compiaciuta, perché sapeva bene che l'avrebbe avuta vinta sul figlio, come sempre. Era un uomo di mezza età, con i capelli brizzolati, aveva molti segni di espressione sul viso, il più particolare era sicuramente quel sopracciglio destro, più alto rispetto al sinistro, occhi marroni, labbra sottili e vestiva sempre elegante, non potevano mai mancare una bella cravatta e un completo firmato, accompagnati, solitamente, da una delle tante cinture in pelle che possedeva. Sfilò una sedia da sotto al tavolo, per poi posizionarsi su di essa, tirando fuori dalla tasca interna della giacca una fiaschetta d'oro, dove si potevano vedere le iniziali del suo nome incise sopra "A.F", ovvero, Alberto Fanti. Con le gambe accavallate, stappò il contenitore di alcol, ma subito dopo, si accorse che era vuoto, così, alzò in alto una mano per poi schioccare le dita ed urlare "Anna vieni subito qui", in pochi secondi entrò nella stanza una donna minuta, con gli occhi del colore del mare, i capelli biondi e le labbra piccole, vestita con una camicia azzurra ricamata e una gonna dello stesso colore, calze color carne e scarpe bianche con qualche centimetro di tacco, che, con voce fioca chiese al marito "Cosa posso fare per te?" "La mia fiaschetta è vuota. Riempila con del whisky" rispose immediatamente il marito con aria dura "Adesso" continuò, intimidendo la moglie, che subito prese tra le mani con le unghie dipinte di bianco, l'oggetto oro, che avrebbe riempito con l'alcol. I pugni di Filippo, decorati da serpenti che si intrecciavano tra  le dita e da anelli di varie misure e colori, si strinsero ancora di più dopo aver assistito a quella scena, tanto che le sue nocche si scurirono, diventando di un rosso acceso. "Non devi trattarla così" disse il ragazzo al padre, che rispose altrettanto duramente "Sei solo un ragazzino prepotente. Pensi di potermi dire cosa fare vero? Peccato che nessuno mi dice cosa fare. Tu andrai in quel collegio, la questione è chiusa. Maria Rosa ha già preparato la tua valigia, parti domani mattina" "Perché devo andarci?" replicò il figlio "Perché mi fai questo? Io voglio fare musica, la musica è tutto per me, non puoi portarmela via" "Non mi interessa. Ti ho dato una possibilità, ma hai deciso di annullare quel contratto discografico. Non lascerò più che i tuoi capricci compromettano la mia reputazione. Hanno parlato tutti i giornali di te, hai infangato il mio personaggio. D'ora in poi, farai solo come dico io, la musica puoi scordartela" a quelle parole, gli occhi del ragazzo si fecero lucidi "È troppo importante per me, non puoi togliermela, non puoi comandare la mia vita, non sono una pedina che tu puoi muovere a tuo piacimento, fare musica è il mio sogno" "Hai avuto la tua occasione. I tuoi sogni non contano niente. Andrai in quel collegio, ti darai una regolata, quando uscirai verrai a lavorare nella mia azienda e, chissà, forse un giorno sarai il direttore al posto mio" "Non voglio lavorare nella tua stupida azienda" urlò Filippo con gli occhi ormai pieni di lacrime, a queste parole, il padre si alzò dalla sedia, e lentamente, si avvicinò al figlio "Tu farai come dico io. Punto e basta" "No" rispose deciso il ragazzo, che si avvicinò ancora di più al padre per poi dirgli "Non me ne frega un cazzo di rovinare la tua reputazione". Non appena Filippo finì di pronunciare quest'ultima frase, il padre sferrò uno schiaffo sulla sua faccia, costringendolo a coprirsi la guancia dal dolore con la mano "Prova un'altra volta a parlarmi così, e sarò io a rovinare te", il ragazzo cercò di riprendersi il più in fretta possibile, si asciugò velocemente  le lacrime per non mostrare al padre la sua debolezza, lo guardò di nuovo negli occhi e disse "Non vedo l'ora" "Stai scherzando con il fuoco, moccioso" a questo punto della conversazione, il padre non era più tranquillo come all'inizio, si stava innervosendo, le sue frasi si facevano sempre più dure ogni volta e si percepiva chiaramente che fosse infastidito. "E saresti tu il fuoco?" Ridacchiò Filippo con aria di sfida "Non ti conviene scoprirlo" rispose Alberto "Perché proprio in un collegio maschile? Non potevo andare in uno normale?" chiese il figlio "Certo così magari passavi le tue giornate a scoparti qualche ragazza vero? Pensi che sia idiota?" "Effettivamente si" "Basta, mi hai stancato" "Che peccato". I due si fissavano dritti negli occhi, la tensione nell'aria era alle stelle, ma fu interrotta dai piccoli passi della madre, che entrò nella stanza dicendo "Ecco il whisky tesoro", l'uomo si girò verso di lei, strappò la fiaschetta dalle sue mani e urlò "Perché ci hai messo così tanto?" "Io...io" "Sta zitta e vattene, sei una buona a nulla", a quel punto Filippo non riuscì più a trattenersi, non poteva più sopportare il fatto che il padre trattasse così la madre, che volesse comandare la sua vita, che fosse il padrone della casa, si fiondò su di lui attaccandolo al muro "Che vuoi fare Filippo, picchiarmi per caso?" chiese il padre ridendo "Potrei, ma non voglio abbassarmi ai tuoi livelli" disse il ragazzo lasciandolo andare, poi si avvicinò alla madre, poggiò le mani sulle sue spalle e le chiese dolcemente "Stai bene?" "Si tesoro, stai tranquillo" rispose lei con la voce spezzata e gli occhi lucidi, poi si passò una mano sul viso asciugandosi quella lacrima che le aveva rigato il viso, stando attenta a non rovinare il trucco e si coprì la clavicola sinistra spostando la camicia in quella direzione, dettaglio che non passò inosservato al figlio, che riuscì a vedere il livido viola che la ricopriva. Si girò nuovamente verso il padre "L'hai picchiata di nuovo?" "Non sono affari tuoi" rispose l'uomo "Ne ho abbastanza della tua prepotenza, io ti denuncio" "Certo che sei proprio simpatico, chi crederebbe a te? Sono ricco, Filippo, posso procurarmi i migliori avvocati di Italia, e sono un personaggio molto importante, non riusciresti mai a battermi. Ti conviene sottostare a me se non vuoi essere rovinato" "Preferisco cadere in rovina piuttosto che sottostare a te" "Bene, come desideri. Intanto però domani mattina partirai per Milano, che la cosa ti piaccia, o no. E ora vattene via". Il ragazzo in quel momento capí che avrebbe perso solo tempo a continuare a discutere con il padre, quello che diceva era vero, lui era una figura importante, e, purtroppo, non sarebbe riuscito a vincere quella battaglia. Da una parte quasi si sentì sollevato al pensiero che il mattino seguente se ne sarebbe andato, perlomeno non avrebbe più visto il padre, l'unica cosa che lo teneva incollato a quella casa, era la madre, al solo pensiero che lui non sarebbe stato per un anno intero con lei, andava fuori di testa. Si rinchiuse in camera sua, nel suo luogo sicuro, si buttò sul letto nascondendo la faccia nel cuscino, per poi scoppiare in un grande pianto. Aveva fatto tanti sacrifici per la musica, era l'unica cosa che lo aveva tenuto in piedi in questi anni, non riusciva a  pensare di doverla abbandonare per sempre, certo, nel collegio avrebbe avuto tempo per dedicarsi alla scrittura, magari sarebbe potuto scappare, senza lasciare nessuna traccia, trasferirsi all'estero e rincominciare da capo, sarebbe stata una follia, ma sicuramente era un'idea che allettava il giovane ragazzo di 17 anni. Passò le ore seguenti ad architettare qualche piano per reinventare il suo futuro, e, nel bel mezzo dei suoi ragionamenti, sentì dei rumori provenire dal bagno, si avvicinò alla porta per origliare, riconosceva benissimo quel suono, lo aveva sentito talmente tante volte, erano i singhiozzi di sua madre, che, ogni volta, spezzavano il suo cuore un po' di più. Filippo bussò prima due volte al bagno, poi fece una pausa, bussò altre quattro volte, seguite da una seconda pausa, e un ultimo colpo, riproducendo così la bussata segreta che avevano inventato lui e la madre quando il ragazzo aveva solo 5 anni. La prima volta che l'avevano usata, era stata quando Filippo si era fatto male cadendo dalla bici, non voleva farsi vedere piangere, così si rinchiuse nel ripostiglio. La madre bussò, ma lui, credendo fosse il padre pronto per punirlo, rimase in silenzio, "Sono la mamma" sussurrò lei, Filippo lasciò che lei aprisse la porta e le disse "potevi dirmelo che eri te" "Facciamo così piccola piuma" gli disse dolcemente lei, asciugandogli le lacrime "D'ora in poi, busserò sempre così alla tua porta, così capirai che sono io". Da quel momento in poi, ogni volta che dovevano bussare, usavano quella sequenza di colpetti in codice.
Filippo entrò nel bagno, vide la madre seduta in terra, con le spalle contro alle mattonelle piangere, si avvicinò a lei, stringendola in un abbraccio, più caloroso che poteva "Ciao piccola piuma" disse lei, dolce come sempre "Mi dispiace mamma" "Non devi dispiacerti amore mio, io sto bene" lo rassicurò lei accarezzandogli la guancia "E allora perché piangi?" "Sono solo triste perché domani parti", sapeva benissimo che non era quello il motivo, che lei piangeva perché il marito non faceva altro che trattarla male, ma fece finta di niente, non voleva insistere, voleva solo starle accanto. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un foglio "Ti ho scritto una canzone mamma" disse il figlio imbarazzato "Vuoi sentirla?", lei fece segno di si con la testa
"Quante cose che non sai
Quante cose ti direi
Nascondi un sospiro per non darmi l'ansia
La tua vita non la farò mai
Tu mi dici: "te la caverai"
E asciughi una lacrima dalla mia guancia
Mi hai insegnato a perdere
E ora non puoi perdere più
Mi hai insegnato a vivere
Ora devi farlo anche tu
Anche se brucia un taglio passa lo so
Ma lascia un segno dentro di me oh oh
Tra i miei ricordi e polvere
Quanti sforzi hai fatto per
Un giorno in più"
Quella canzone rifletteva perfettamente la figura della madre, quante volte aveva nascosto un sospiro per non dare preoccupazioni al figlio, quanti sforzi aveva fatto per un altro giorno,  aveva insegnato lei a vivere al figlio, lei  era sempre stata lì per lui, per consolarlo ed era stata proprio lei ad avvicinarlo alla musica. Si abbracciarono, non servivano più parole, si erano già detti tutto.

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