Qualcosa di inaspettato

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Matteo spinse Luigi dentro la grande sala di Montecitorio, chiudendo le porte dietro di loro.
Si avvicinò alle orecchie dell'amato e sussurrò: "Apri gli occhi"
Tuttavia non ottenne la reazione che si aspettava. Sicuramente Luì era sorpreso, ma quando si girò verso di lui, era soprattutto irritato. "Sei pazzo? Avevi detto qualcosa di speciale! Ma ti pare?"
Senza dare da vedere la delusione, l'altro provò a giustificarsi. "Guarda! Non c'é nessuno"
"A parte le guardie là fuori? No certo, non c'é nessuno"
Sbuffò, avvicinandosi a lui con un sorriso, accarezzando le braccia incrociate in segno di dissenso. "Ma ti ho sorpreso, no?"
"Dobbiamo uscire da qui. Che poi che avevi intenzione di..." Nel momento stesso in cui pronunciava quelle parole, comprese di cosa si trattava realmente. Non riuscì a trattenere un sorriso, a metà tra l'imbarazzato e lo stupito. L'altro se ne compiacé. "Matté... È una pessima idea..."
"Però ti piace, eh?"
Sì girò verso la gigantesca e vuota aula. A quell'ora di notte, senza nessuno intorno, fiocamente illuminata da una sola luce da loro accesa, vi era una certa atmosfera tetra. "Mattarella non sarebbe d'accordo, non dovremmo". Salì le scale, fino ad arrivare al posto dove era solito sedersi. Quante ore aveva passato lì, ad ascoltare insulti, urla, ma anche i discorsi, gli applausi dei suoi compagni. A cercare gli appunti di Conte, a dire di no, a Conte. Posò le mani sul bancone, sospirando. "Senti, andiamo a casa. O in macchina, dove ti pare. Ci sono tanti posti per-" Non riuscì neanche a finire la frase che Matteo gli cinse i fianchi in un abbraccio, spingendolo contro il proprio corpo. "Di già?" Commentò ironicamente, sentendo il gonfiore nei pantaloni che premeva contro di lui. "Vorrei fossi stato altrettanto veloce a formare un governo" Si girò, e salì sul banco, mettendo le gambe attorno a Matteo e tirandolo per la camicia vicino a sé. Gli diede un bacio, mentre con le dita giocherellava con la verde cravatta.
"È un sì?"
"Sono abbastanza sicuro che sia illegale"
"È questa la parte migliore, no?" Sogghignò, passando dolcemente le dita tra i morbidi capelli di Luigi. Iniziò a baciargli il collo, posando appena le labbra, come avesse paura di ferirlo.
"Sai, dal primo momento in cui ti ho visto... ho capito di avere bisogno di te... non come alleato... no, come ben più di quello"
Matteo si ricompose, per guardarlo negli occhi. Erano leggermente lucidi, come accade quando pensieri a noi avversi s'infiltrano nella mente, fino a diventare più lame che vento. "Stai bene?"
Si portò l'estremità della manica agli occhi, nell'intento di asciugarli. Con una gentilezza che sembrava propria delle sue dita, sciolse il nodo della cravatta e cominciò a sbottonare la camicia dell'altro, che lo guardava, incerto su come comportarsi. "Vorrei non fosse così difficile. Vorrei poterti guardare, quando sediamo qui, sorriderti, tenerti la mano. E poi, è evidente. Siamo diversi. Siamo troppo diversi"
"Lo so, ma..."
"Non m'importa, comunque. Cosa diciamo, quando siamo seduti, non m'importa. M'importa chi sei quando torni a casa. Quando ti sdrai accanto a me, dopo una pessima giornata, e per tirarmi su fai qualche battuta su Renzi. M'importa la dolcezza che ostenti, anche se non è tua" Smettendo di sbottonare la camicia, si posò per qualche istante sul suo petto, e Matteo lo strinse in un abbraccio, senza dire nient'altro. Non ce n'era bisogno, di parole.
Restarono poi a lungo in quella sala, che per la prima volta non era luogo d'odio, ma di un sincero, per quanto nascosto, amore.

Una notte, a Montecitorio // SalvimaioWhere stories live. Discover now