L'urlo

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«Sai benissimo che a me non importa di ciò che fanno le tue amiche! Fino a che tu sarai sotto questo tetto, signorinella, seguirai gli ordini miei e di tuo padre!»

«Come se tata sia sempre presente in casa! Mamă, guardati! E guardami! Perché dobbiamo rinchiuderci in questa casa, mentre tata è via da giorni per-- chissà quale motivo!» la situazione non stava di certo migliorando, in quel momento. Entrambe le loro voci si mischiavano nell'aria creando fulmini invisibili che ben presto si sarebbero scatenati. C'era tensione nell'aria, una tensione che da tempo non si creava e che era percepibile a pelle. Per quanto Anne-Marie fosse tanto legata alla madre e l'amava così tanto, non riusciva a tollerare l'idea di dover stare a delle regole così ingiuste e snervanti che non le permettevano nemmeno di vivere un'adolescenza serena. Gli occhi verdi della piccola si scontrarono per qualche istante con quelli marroni della madre, creando un silenzioso dibattito di sguardi, un dibattito che sarebbe incominciato veramente da lì a poco. Una mano della piccola andò ad appoggiarsi sul piccolo petto, che si abbassava e si alzava al ritmo della sua respirazione irregolare dovuta alla rabbia che cercava di controllare, inutilmente. Non alzava quasi mai la voce contro la madre per rispetto, eppure Anne-Marie sapeva di non poter resistere più in quella situazione, a sperare ed a pregare, che qualcosa cambiasse in quella vita così ingiusta che i genitori avevano creato per lei. Una vita priva di stimoli e d'amore vero e proprio, che ti avvolgeva e ti proteggeva dalla cattiveria del Mondo. Stranamente, la piccola rosa si sentiva più a suo agio fuori da casa: per lei, vivere in quella dimora quando c'era anche il padre, era come vivere costantemente su un campo di battaglia. Dove tutti erano "contro tutti". Un clima rigido che l'aveva portata per anni a chiudersi dentro camera a sognare ad occhi aperti una vita dove lei era protagonista. Dove lei era apprezzata ed ammirata. Dove sei riusciva a tener testa alle avversità della società che ancora non riusciva a comprendere appieno. Perché i grandi si facevano la guerra? Perché dovevano sempre dimostrare di aver ragione? Avrebbe tanto voluto chiedere aiuto e risolvere alcuni di questi quesiti, almeno con suoi genitori. Chiedere una complicità che mai era esistita. Ma era inutile e, purtroppo, troppo tardi. 

  «Oh, doamne!», la voce della madre interruppe quel silenzio così fastidioso che si era creato e si portò una mano sulla fronte. Non riusciva nemmeno a respirare per l'agitazione del momento.  Grațiela odiava battibeccare, in particolare con la faglia, perché era l'unica creatura che gli era rimasta accanto e che, in un certo senso, sentiva tremendamente vicina. Così come Anne-Marie, anche lei durante la sua infanzia non aveva mai avuto modo di godersi la figura di un padre che la sostenesse e ciò l'aveva sempre resa una donna vestita di solo "armatura", sempre pronta a mostrare i denti ed a farsi valere anche nel suo modesto, come solo una leonessa poteva fare. Una donna di carattere sicuramente, che non aveva mai avuto modo di sperimentare l'amore vero, quello che le fiabe ed i film sull'amore raccontavano. «Perché devi sempre tirare fuori la figura di tuo padre? Sai benissimo com'è fatto e sai pure che non tornerà più!»

La bambina voleva controbattere e stava per farlo. Era pronta a replicare, a smuovere ancora una volta le sue idee contro quelle della mamma, ma ciò che disse quest'ultima la immobilizzò. Sentì qualcosa in gola, come se la voce non riuscisse ad uscire. Un nodo che si creava ogni volta che doveva parlare con i suoi compagni di classe. I suoi occhi, così grandi e verdi, iniziarono a darle fastidio. Lacrime che mai la bimba aveva versato, non davanti alla mamma. Lacrime che graffiavano e lasciavano il segno durante la notte, quando Anne-Marie cercava di calmare il suo animo in tempesta, ma senza grandi risultati. Lacrime che la madre non doveva vedere. Non rispose, non in quel momento. Ma decise di abbassare lo sguardo a terra, torturandosi il labbro inferiore con fare snervante.

  Grațiela  tuttavia vedeva quegli occhi deboli, che incominciarono a saettare da una parte all'altra del parquet. E che poi si alzarono sui muri, sugli oggetti accuratamente posizionati sugli scaffali e nelle vetrate che avevano in cucina. Ogni mattone, ogni arredo stava diventando un appiglio per non piangere e la maggiore delle due l'aveva intuito. Anche lei usava fare così, purtroppo. Si creò ancora una volta un vuoto tra le due figure, un silenzio che la  bambina non sopportava. Lei non sopportava mai quella calma, perché dopo di esso arrivava sempre la tempesta: una calma apparente, quasi irreale. 

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⏰ Last updated: Oct 03, 2018 ⏰

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