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🌈

Stare lontana dalla tossicità della città mi aveva fatto stare meglio. L'aria in fattoria era diversa, il cielo era diverso e io ero diversa. Mi sentivo a mio agio, quando stavo da sola. Restammo per tre giorni e li passai quasi tutti in giro tra gli alberi a mangiare mele e girare tra i vari recinti.

Vi erano due stalle, una vecchia e una nuova. Metà del tetto della vecchia stalla era crollato durante una forte nevicata, circa tre anni prima. I tre cavalli che ci vivevano vennero spostati all'aperto finché la nuova stalla non venne costruita. Era più grande e più stabile della vecchia stalla, molto più moderna e più bella.
Tuttavia, c'era qualcosa nella vecchia stalla che mi trasmetteva  tranquillità. Forse era il silenzio, l'odore di legno vecchio e l'aria fresca che entrava dal soffitto. Forse erano i ricordi che conservavo di una me minuta che si nascondeva per non essere trovata dalle cuginette. Amavo giocare a nascondino perché ero imbattibile. Nascondere era il mio talento. Mamma diceva che avrei potuto nascondere un cadavere e neanche gli agenti più bravi del mondo lo avrebbero trovato. Forse era vero, forse esagerava, ma io ero sicura che a nascondere le mie emozioni ero bravissima.

Vi era un piccolo recinto che racchiudeva delle galline sempre impegnate a fare uova o mangiare chicchi di grano. Le galline erano nella mia lista di animali preferiti, mentre i galli erano tra gli odiati. Avevano un aria di superiorità, con il petto gonfio e delle piume bellissime e soffici. Da piccola, ogni volta che mi avvicinavo, venivo sempre attaccata e tornavo da mia madre piangendo perché mi facevano male le gambe. A volte mi beccavano così forte che sanguinavo, facendomi quasi svenire alla vista dei puntini di un rosso scuro sulla mia pelle.

C'erano maialini, pecore, capre, due mucche, un bue, un asino e una talpa fastidiosa che distruggeva sempre l'orto di mia Zia. Da quanto mia madre mi disse, zia Madison aveva provato a sbarazzarsene ma la talpa era abbastanza intelligente da sparire per un paio di giorni e tornare di nuovo.

In casa c'erano due cani, uno di taglia grossa e uno piccolo. C'era un gatto, che credo si fosse preso una cotta per me perché mi girava sempre attorno, e un coniglietto che non faceva altro che mangiare e dormire. Letteralmente.

Poi, dopo tutti gli esseri viventi, si arrivava alle coltivazioni che erano l'ossessione di mia zia.
Zia Madison, al contrario delle sorelle, non poteva avere figli e quindi la natura era tutto ciò che aveva.
Aveva un campo di grano, uno di pomodori, zucche, zucchine, rape e tantissime altre verdure.
Un campo di frutta e due vigne. Non beveva vino ma le piaceva farlo. La sua parte preferita dellecoltivazioni erano i limoni. Forse perché amava il giallo, o forse perché erano entrambi acidi. La zia Madison aveva un carattere forte. Era una di quelle zie che non fanno altro che portare a galla i tuoi difetti, facendoti sentire inutile. Con me, lo faceva sempre e forse lei era una delle ragioni per cui cercavo sempre di stare fuori dalla cerchia della famiglia. A parte quando mangiavamo, ero sempre in giro o in camera mia a leggere.
Nonostante il suo caratteraccio era una donna gentile e premurosa. Era lei che si sempre occupava del padre, mio nonno.

Mio nonno, a sua volta, si occupava della serra che avevamo costruito quando avevo otto anni. Era l'unico in tutta la famiglia con cui avevo mantenuto un rapporto sincero e duraturo. Mentre con i miei zii e i miei cugini mi sentivo poche volte all'anno, io e mio nonno ci parlavamo quasi ogni giorno. Ogni sabato sera ci vedevamo per guardare un vecchio film in bianco e nero. A volte lo accompagnavo in ospedale per fare le visite al ginocchio. A volte veniva a trovarmi a lavoro e mi portava una margherita, il mio fiore preferito. Altre volte mi portava mele verdi, la mia frutta preferita.
Era una persona fantastica, per quanto la sua memoria potesse ricordare.
Passai un bel po' di tempo con lui, in fattoria. Gli leggevo il giornale quando non trovava gli occhiali, gli parlavo di programmi televisivi, gli parlavo di me, dei miei compagni di lavoro e gli cantavo le mie canzoni preferite. Era l'unico, oltre a mia mia madre, con cui potevo parlare senza avere paura di essere giudicata o di ricevere uno sguardo poco piacevole.

Quando mancava solo un'ora alla partenza, decisi di voler stare da sola e godermi un ora con la natura prima di tornare in città.
Il laghetto era il mio secondo posto preferito. L'acqua era chiara e le anatre mi fissavano immobili mentre, sdraiata sull'erba, guardavo il cielo azzurro. Non vi erano nuvole quel giorno e il sole aveva deciso di mandare tutti i suoi raggi sui miei occhi, in modo da farmi impazzire.
Ho sempre odiato le giornate di sole calde e afose. Il caldo era il mio acerrimo nemico. Preferivo di gran lunga le giornate nuvolose o piovose. Amavo la pioggia più di quanto amassi la cioccolata bianca. Mi piaceva il rumore dell'acqua a contatto con una superficie qualsiasi, il ticchettio continuo sul tetto della mia stanza. Mi faceva stare meglio. Nella pioggia trovavo quella che chiamano pace interiore. Era come una melodia, una ninna nanna per la mia depressione. La metteva a dormire per un po' di tempo e io ero in grado di vivere la mia vita come una persona normale, o almeno provo l'ebbrezza di essere come una persona normale.
Ma, ogni volta che ci penso, mi rendo conto che nessuno è normale. Ogni persona ha i propri problemi, le proprie ansie, i propri vizi e le proprie paure. Ogni persona ha un segreto, una malattia, un cuore spezzato. Non vi è una persona immune ai problemi. Se così fosse, il mondo sarebbe un posto migliore.
Un posto dove nessuno giudica l'altro, dove nessuno annuncia guerre contro l'altro, dove nessuno odia, uccide o picchia l'altro.
Perfino il mondo ha i suoi problemi. Il riscaldamento globale, i terremoti, l'inquinamento e così via.
Il problema generale era che tutti questi problemi del mondo e delle persone complicavano la vita. I problemi di una persona complicano la vita di un'altra persona. I miei problemi complicano la vita di mia madre e di mio padre.

E così, sdraiata sull'erba verde vicino a delle anatre che mi fissavano, continuai a sentirmi in colpa come facevo ogni giorno.

"Sei una ragazza piuttosto solitaria" disse una voce maschile alle mie spalle.

Mi girai. Non era uno dei miei cugini e  neanche uno dei fidanzati delle mie cugine. Era alto, robusto e aveva la pelle abbronzata. I capelli erano lunghi e raccolti in un codino, aveva la barba appena accennata, un naso all'insù e delle labbra carnose. I suoi occhi, neri, erano fissi sul mio volto, il che mi metteva a disagio. Indossava dei pantaloni neri e una maglietta bianca, mentre ai piedi calzava delle vans sporche e bucate sulla punta.
Evidentemente avevo un'espressione strana, perché ridacchiò e si sedette vicino a me.

"Sono Joseph" sorrise "Lavoro qui. Mi occupo dei cavalli"

"Ah..." mi grattai la nuca "Io sono Amaljeet. Ma puoi chiamarmi Amal, o Jeet. Qualsiasi cosa sia più facile"

"Hai un bel nome" aggrottò le sopracciglia "È indiano, giusto?"

"Si" annuì.

"Bene" annuì anche lui.

Mi sentivo a disagio e in imbarazzo. Eravamo entrambi in silenzio e non sapevo se dire qualcosa o continuare a stare zitta. Ma, anche se avessi dovuto dire io qualcosa, non sapevo che dire.

"Okay" ridacchiò "Ti sto mettendo in imbarazzo, vero?"

"Oh, no" scossi la testa "È solo che non so cosa dire"

"Tranquilla" prese il telefono dalla tasca e sbuffò "Comunque sia, devo tornare dai miei carissimi cavalli. Il dovere mi chiama"

"Ciao" sorrisi e sventolai la mano.

"Ciao, Jeet" sorrise e corse via.

Tornai a guardare il cielo e sospirai. Tra tutte le conversazioni imbarazzanti fatte nel corso della mia vita, questa si era appena vinta il primo posto.

🌈

Si, il capitolo è troppo noioso. L'ho riletto e riletto tremila volte e credo di saperlo a memoria. Se lo rileggo un'altra volta finirò per cancellarlo e non voglio farlo.
Comunque sia, spero vi sia piaciuto, anche se solo un poco.

All the love!

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⏰ Last updated: May 16, 2018 ⏰

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