Malinconia 1. Lei e Lui.

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Ci sono giorni in cui mi sento sola, particolarmente sola.
Giorni in cui guardo fuori dalla finestra e contemplo la nullità che mi si stende davanti in tutta la sua imperfezione e mi crogiolo in un apatia senza fondo da cui non voglio essere tirata fuori.
Ci sono invece giorni in cui anche il sorriso di uno sconosciuto per strada mi fa battere il cuore, giorni in cui passeggiare con i miei cani mi riempie di gioia, il sole sulla pelle, l'acqua sul viso, il freddo nelle ossa.
Mi fanno capire di essere viva, di essere qualcosa oltre che due gambe che deambulano ed un cuore che batte, eppure nel 2016 il mio cuore si è rotto e non è più tornato come prima.
Batte ma non un ritmo soave e ritmato, no, è un ritmo sincopatico che ha perso il suo tempo ed ora sta cercando di recuperarlo, pur sapendo che non lo potrà fare.
Passo da momenti di una gioia feroce, di un allegria sfrenata, di risate e leggerezza a momenti tipo oggi, in cui un pò la pioggia, un pò la bronchite, mi fanno sprofondare nella parte preferita del mio essere imperfetto, la malinconia.
E così per sfuggire a me stessa scrivo.
Ho sempre scritto per me, per tradurre in parole il vortice che sento dentro, parole, che non sempre esistono.
La malinconia è dolce e leggera come una piuma ma porta con se ricordi che preferirei che rimanessero sepolti e può arrivare senza preavviso alcuno.
A volte mi basta ascoltare una canzone in particolare, altre leggere un libro, altre ancora vedere un piccolo fiore che resiste al freddo ed al gelo.
Oppure negli occhi di un bambino che non conosce sofferenza.
L'altro giorno una mia amica parlava del destino, di come lei ci creda fermamente e per una volta ho desiderato essere qualcun altra e non me.
Io non ci credo nel destino. Ho smesso due anni fa e non torno indietro. Perchè la vita ora non mi può dare qualcosa quando da me ha già preso tutto.
Negli ultimi anni sono diventata cinica, molto cinica ed la mia dolcezza si è indurita in qualcosa che non mi piace ma di cui non posso fare a meno, una corazza che , in teoria, dovrebbe evitare di farmi provare tutto il dolore che nel giro di un mese provai in quell'anno fatidico.
Una corazza che mi permette di osservare la gente, anche viverla a volte ma senza provare quasi nulla per loro, annientando la mia innata empatia e permettendomi di non soffrire più, perchè per quanto son consapevole che la tristezza fa parte della vita, io non posso riuscire a sopportarne più.
Ho perso delle amicizie, persone che credevo importanti per me ed invero io per loro ero nulla, anni di sacrifici, di litigi, di coccole, di amore e comprensione alla fine mi si sono rivoltati contro e non ce la posso fare più.
Una volta non ero così.
Ero gioiosa, allegra, innamorata del sole e della luna, della vita e della morte, del cambio delle stagioni, dell'amore stesso, del mio essere pigra, delle creature di cui mi circondavo.
Avevo un sacco di amicizie e tre amiche che per me erano il mondo.
Una in particolare era la mia omega, il mio centro, la mia anima gemella.
La nostra amicizia era nata in un odio feroce, reciproco, all'asilo, due bambine diversissime che non trovavano giochi e punti in comune e che riuscivano solo a litigare e procurarsi a vicenda lacrime facili.
Rapporto che si protrasse alle elementari ma lì ero io a subire, in quanto lei era la forte ed io la debole che tornava a casa piena di lividi, di ciocche di capelli tagliate ed occhi neri.
Il periodo delle medie, nel suo squallore, fu un bene per noi due.
Scuole diverse e percorsi di vita diversi per tre anni , per quanto le nostre case quasi si baciassero, la mia davanti e la sua dietro, un piccolo giardino a separarci.
Ancora ricordo che mia madre mi obbligava a stendere i panni fuori dal balcone, per aiutarmi a superare la mia paura delle vertigini ed io vedevo lei che giocava con le sue nuove amiche nel giardino ma ogni singola volta, come se la mia anima chiamasse la sua, alzava la testa ed i nostri sguardi si incrociavano.
Io sorridevo, con gli abiti grondanti acqua tra le mani e lei mi sorrideva dal suo trono di cristallo, amata da quelle ragazzine che volevano imparare da lei come essere dure, crudeli.
Per i tre anni delle medie quelli furono i nostri rapporti.
Le cose cambiarono alle superiori. Stessa scuola e stessa classe.
Pensai che fosse l'inizio di un nuovo incubo ma il destino aveva altre scelte per noi.
Non potevamo stare divise. Lei era l'antagonista della mia vita ed io la sua e per quanto ci sforzavamo di restare gelide, distanti l'una dall'altra, non ci riuscivamo e così iniziò tutto.
E' stata parte del mio mondo, è stata il mio mondo.
Ogni mia tappa importante l'ho vissuta con lei.
Ogni dolore , ogni gioia, ogni giorno.
Da quando andavamo a scuola in motorino e successivamente in auto fino alla sera in cui ci guardavamo un film spaparanzate sul suo divano, con il gatto Fernando che mi faceva scoppiare immense allergie.
I giri con i cani, i compiti copiati e le interrogazioni studiate a menadito, le amiche in comune, il gruppo in comune.
Era il mio primo sms della giornata e l'ultimo ed anche io ero il suo.
Eravamo migliori amiche ma non ci siamo mai dette che ci volevamo bene.
Ecco il mio rimpianto.
Se potessi tornare indietro glielo direi tutti i giorni.
Lo sapevamo, sia chiaro, ma sentirselo dire è un altra cosa.
E' qualcosa che fa bene, che ci fa sentire speciali e soprattutto , se come me hai un autostima di cacca, ti aiuta un sacco.
Ero con lei, quando a quindici anni le diagnosticarono un tumore benigno al cervelletto, ero in sala d'attesa con i suoi genitori il giorno in cui la operavamo.
Ero con lei, quando si svegliò e le dissi con un sorriso che stava bene.

Ero anche con lei, diversi anni dopo, il giorno in cui le dissero che il male era tornato e questa volta era maligno.

Ma non ero con lei il giorno in cui morì.

Quando si accorse che la battaglia contro la grande C era troppo grossa, si allontanò da tutti, me compresa e decise di combattere così, sola contro quel male.
Abitavamo vicine dunque la vidi spesso in quel periodo, prima con la radioterapia, debole e con lunghe occhiaie sotto gli occhi, e poi con la chemioterapia, senza capelli, ancora più piccola di quella che era.

Un giorno, di aprile, mi chiamò.
So che il telefono squillò a lungo, una, due, tre volte.
Ed alla fine tacque, senza che io rispondessi.

Ma quel giorno stesso ero in viaggio con la mia famiglia. Era il giorno in cui mio zio, l'altro pezzo importante del mio cuore, era morto, schiacciato sotto un albero.
Quindi il telefono, messo in silenzioso, fu muto testimone che alla fine lei mi voleva al suo fianco ma io ero ormai lontana.
E non ho il rimpianto di non aver risposto.
In quel momento io non potevo rispondere.

Mio zio è stato il padre che non ho mai avuto.
Un padre ce l'ho, ma è sempre stato una figura a margine della mia vita, una persona tremendamente austera che non faceva altro che criticare e decidere, fin da bambina, la mia vita, obbligandomi a scelte che se potessi tornare indietro non farei.
Sport agonistici competitivi, conservatorio musicale, scuola e ancora scuola, gli scout ( piccolo momento di libertà)ogni mio secondo di vita scandito da quello che un giorno sarei diventata grazie a lui.

Una gabbia di ghiaccio da cui sono evasa appena ho potuto, tirando su le "palle" ed alimentando la ribellione del mio essere.
Mio zio è stato un compagno di giochi, colui che ha contribuito alla nascita di colui che amerò per sempre, mio cugino, compagno di ogni singolo gioco, giorno, anno.
Il fratello che non ho mai avuto tramutato da idea a bambino.
Mio zio che mi insegnò a sognare, a ideare, a creare, ad impormi, a bilanciare ogni si ed ogni no, con la certezza che ad ogni reazione corrisponde una reazione uguale o contraria, mi iniziò al buddismo, alla cura dell'anima, alla cura della psiche, ai viaggi, alla dolcezza.

Mi accoglieva nella sua modestissima se non povera casa ed io mi sentivo libera ed a casa, con quell'odore di incenso che riempiva l'aria e che mi portava via di li.
Diceva che avevo un potenziale, che al contrario di altri bambini, in me splendeva la luce, dovevo solo trovare il modo di farla uscire.
Così mi insegnò a disegnare, facevo schifo, a cucinare , lì ero più brava, ad ascoltare, li eccellevo, a suonare, lì ero a casa.

Negli anni fu una delle poche persone che credette in me tutto il tempo e che non mi giudicava per le scelte che facevo, anzi, trovava sempre lo spunto per farmi complimenti per come mi rapportavo, era mio padre ed io ero sua figlia.

Quando morì si era ritirato da anni dalla città e viveva a 500 km da casa, in montagna, in una casa di pietra che ora ne custodisce l'anima.
Una casa rudere che riportò alla gloria, tirandone su ogni singola pietra, sangue e sudore.
Se sapeva che doveva comprare un pezzo importante faceva mesi di pasta in bianco pur di comprarlo perchè quella casa sarebbe stata la sua eredità, sarebbe stata l'unica il compimento perfetto della sua opera.

Ed era bellissima. Lo è ancora.
Ma ha perso la sua luce.
Quando c'era mio zio si era creato un perfetto ecosistema.
Gatti, cani, galline, api, che convivevano senza problemi ed un miele così buono ed un insalata così fresca non li mangerò più.
Quando addentavi un pomodoro sapeva di terra, di aria, di amore, di freschezza, il succo ti inzaccherava le labbra e colava sul muso e ti dava una sensazione di libertà unica.

Era spettacolare, d'estate, stendersi fuori, di notte, a guardare l'immensità del cielo in tutto il suo immenso splendore. Lontano dal paese, senza luci artificiali, vedevi tutte le costellazioni, la via lattea ed era un gioco continuo a chi ne indovinava di più ed i pensieri fluivano. Meditavi osservando l'immensità e ringraziavi per ogni singolo istante donato.
Meditavi senza renderti conto di farlo e viaggiavi, sulle ali della fantasia e tutto , tutto poteva essere possibile.

Ora una strana tristezza è scesa su quel luogo e su ogni mio ricordo rendendoli preziosi, ed anche i ricordi meno piacevoli, gli scatti d'ira, le emozioni trattenute a stento ed il rapporto pessimo che aveva con le donne (ha sempre cercato la sua anima gemella senza riuscirci e non si abbandonava a storie futili solamente con il secondo fine di infilarsi tra le braccia delle donne), sono celati sotto il desiderio, l'anelare continuo di averlo qui.

Guardarlo nei suoi occhi vivi e brillanti di vita e chiedergli "Perchè?".
Quel perchè rimarrà sempre senza risposta ed è una delle cose che odio di più.
Le cose in sospeso. Mai rimandare in un secondo momento le spiegazioni, potrebbe accadere di tutto, anche che quella persona non torni più e dunque vorrei veramente sapere perchè secondo lui D non è fatto per me.

Volevo dimostrarglielo.
Dimostrargli che se avevo scelto lui, che se ogni giorno il mio amore per lui cresceva un motivo c'era.
Eppure non posso più farlo.

Era una sera come tante e lui si stava sedendo a tavola dopo una giornata di vita montana all'aria aperta, caratterizzata da una pioggia a tratti violenta.
Ma arrivò un suo "amico" a chiedergli una mano per tagliare un albero e visto che mio zio era una persona generosa non gli venne in mente di fanculare "l'amico" e rimandare il taglio al giorno successivo, no , lui andò.
E sotto quell'albero ci rimase.
L'amico non andò subito a chiedere aiuto.
Prima nascose "l'arma del delitto", ossia una motosega e poi andò a dire che passando dal suo campo aveva trovato una persona schiacciata sotto il suo albero più vecchio, ma non sapeva chi fosse e perchè fosse lì.
La verità uscii fuori più tardi.

Dopo un viaggio di cinque ore e mezza questa fu la scena che ci trovammo davanti.
Una casa illuminata ed ancora tiepida di vita, la tv accesa su un tg ormai finito da tempo, la sedia scostata dal tavolo, una tovaglia rettangolare ripiegata con cura per occupare solo un quarto del tavolo ed un piatto di pesce che ormai era incollato alla porcellana.

E per colpa di questo deficente , alla fine incriminato per occultamento di prove, falsa testimonianza ed omicidio colposo, non potemmo fare il funerale subito, ma dovemmo aspettare una settimana, una settimana che ci servì per elaborare il lutto, stringendoci a noi come solo le famiglie molto unite sanno fare.

Ed io resistetti per tutta la settimana, non versai nemmeno una lacrima e di questo devo ringraziare il mio compagno.
Il quale mi tenne il cane ed ogni giorno, ogni ora, ogni momento, c'era ma lontano da lì.
E' stato il mio supporto esterno, il mio aiuto a non cedere per aiutare mio cugino, mia madre ed i suoi fratelli.
Ci voleva una persona immune alle lacrime, una persona che si facesse carico del bagaglio emozionale di tutta quella gente ed ironia della sorte scelsero me.
Alla fine, il giorno del funerale, versai tutte le lacrime che avevo.
Dal momento in cui lasciammo la casa fino alla chiesa e dalla chiesa fino al crematorio.
Mi prosciugai emotivamente ed i miei ululati di dolore misti a strombazzamenti di naso facevano il verso al prete in chiesa.
Come poteva declamare la vita eterna nel regno dei cieli davanti ad una famiglia distrutta?
Se fossi stata in me avrei esclamato " ma quale vita eterna? che mucchio di cazzate moraliste."

Dopo il funerale tornammo a casa, in un ritorno silenzioso in cui ognuno era perso nel suo dolore.
Arrivata a F mi attendeva una magnifica notizia.
Quello stesso giorno G era morta, il cancro aveva vinto alla fine.

Una settimana dopo andai da un tatuatore a caso e mi feci il mio secondo tatuaggio che porto con un orgoglio smisurato sull'avambraccio sinistro ed ogni giorno lo guardo e son felice della mia scelta.
Potevo fare mille cose sdolcinate ma scelsi un simbolo ed una scritta.
Il simbolo è piuttosto sdoganato ma credo anche che il significato non stia nel simbolo, in cosa rappresenta per gli altri, ma nel valore che gli dai tu.
Scelti il simbolo dei doni della morte, omaggiando HP mia passione e legandomi al vero significato del simbolo, che viene spiegato nel libro.
Ciò che è morto non muoia mai, seguito da un Always. SEMPRE


"Le persone che ci amano non ci lasciano mai veramente.
Possiamo sempre ritrovarle. Qui dentro." J.K.Rowling.

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⏰ Last updated: Mar 01, 2018 ⏰

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A Girl.  Ricordi di una ragazza malinconicaWhere stories live. Discover now