Capitolo 2

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La primavera si sentiva nell'aria. Nella vecchia città s'iniziava a respirare un'aria nuova, ricca di euforia e di nuovi amori. Alcuni studenti pedalavano sulle loro bici con i cestini carichi di testi scolastici e sfrecciavano incuranti dei semafori o delle precedenze. I muri erano tappezzati dei manifesti dell'imminente concerto di Ricardo Guerrieri, idolo delle adolescenti (e non solo). Non era che un ragazzo, poco più che ventenne, e aveva già conquistato le classifiche nazionali. Indossava solitamente abiti molto eleganti e cravatte sottilissime. Sempre col ciuffo ribelle in bella mostra e i suoi occhi di ghiaccio che sembravano guardare oltre la folla dei suoi fans.

Le ragazze si fermavano davanti ai manifesti, sognando di andare al concerto e di conoscere dal vivo il bel Ricardo. E chissà, magari anche di essere notate da lui.

Ma la vita non è solo amore e concerto. La vita è anche traffico e macchine che corrono su strade umide. La vita è anche il rito sacro di migliaia di persone che si recano al lavoro ogni giorno.

E lì, in mezzo a quella vita che scorre, in mezzo al traffico delle vie del paese, spiccava il colore tetro della mia vettura nera con i vetri oscurati, che somigliava a una bara su quattro ruote.

Due ragazze mi passarono accanto e rallentarono per scorgere le loro immagini riflesse sui vetri scuri dell'auto. Notai che, curiose com'erano, cercavano anche di sbirciare all'interno per vedere chi fosse quel simpaticone che se ne andava in giro su un carro funebre su gomma. Non potevano sapere che dentro ci fossi io. Una delle ragazze ebbe un sussulto.

«Cosa hai visto, Giada?» chiese la sua amica.

«Non saprei» rispose titubante la ragazza con i capelli cortissimi da maschiaccio color nero corvino.

L'altra la guardava quasi divertita.

«Sei sicura di non aver visto un fantasma?»

«Se ti dicessi che forse c'era un rapinatore mascherato, mi crederesti»?

La ragazza bionda piegò leggermente la testa su un lato.

«Un uomo con una maschera, dici? E chi sarebbe quel folle che andrebbe a fare una rapina a quest'ora del mattino?» chiese lei.

«E che ne so? Ti ho soltanto risposto!» esclamò Giada, adirata.

Intanto misi in moto l'auto e mi allontanai dalla piazza, mentre lo stereo della macchina suonava un vecchio pezzo dei Suede, Animal Nitrate, una canzone un tantino troppo tosta per quell'ora del mattino.

Tamburellavo le dita sul volante al ritmo della canzone canticchiando a bassa voce e proseguii fin sotto il parcheggio destinato a noi dipendenti del giornale "Nuova Era".

Aprii lo sportello e scesi lentamente. Quel giorno mi ero svegliato con un'anima da cow-boy e avevo scelto d'indossare un paio di stivali neri e sopra un paio di blue jeans strappati e un maglioncino leggero a girocollo.

Nel centro del grande parcheggio assolato, con la maschera sul viso, dovevo sembrare un punto scuro.

Chiusi la portiera dell'automobile e m'incamminai verso la porta principale dell'edificio. A ogni passo, i miei stivali, logorati dal tempo, picchiettavano il suolo con un suono stridulo. Varcai la porta principale e mi diressi deciso verso l'ascensore. Al suo interno, un gruppo di uomini e donne vestiti elegantemente mi fecero posto, osservandomi incuriositi.

Nonostante lavorassi da diversi anni per quel giornale, non mi ero fatto troppi amici fra i colleghi e le conversazioni sul luogo di lavoro erano spesso scene mute e sguardi sospettosi.

Sfumature della NotteWhere stories live. Discover now