20. I numeri sono infiniti

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Quando finii, presi lo zaino e lo misi in spalle. Ebbi solo la forza di dirle: — Io vado — e, prima che potesse proferire parola, aggiunsi: — In autobus.
Come se si fosse appena resa conto del fatto che dovessi andare a scuola, si alzò di scatto dalla sedia, lo sguardo stralunato.
— Io posso portarti, pochissimo tempo e sarò pronta, io... — la sua voce sfumò in un bisbiglio, e poi nel più totale silenzio, di fronte allo scuotere della mia testa.
— Sono in ritardo, perderò il pullman.
Detto questo, mi voltai e aprii la porta. Non ebbi il minimo ripensamento, non mi voltai indietro. La serratura scattò dietro di me con un tonfo sonoro. Quando cominciai a scendere i gradini, iniziarono anche a scendere le lacrime.

***

Raggiungere Davide in cortile fu una delle azioni più faticose che ebbi mai portato a termine in tutta la mia vita. Continuavo a pensare di andarmene, di non frequentare le lezioni almeno per quel giorno, dato che non riuscivo a concentrarmi sullo stesso argomento per più di un minuto: i miei pensieri tornavano alla mia famiglia spezzata.
Sembravano tutti così sereni, leggeri, felici... Io non potevo reggere quell'atmosfera.

E Davide se ne accorse. Quando mi sedetti accanto a lui, infatti, i suoi occhi non riuscivano a staccarsi da me.
— Che cos'è successo? Cat, stai bene?
Sospirai, chiudendo per qualche secondo le palpebre: — Io... non ce la faccio.
La mia voce era disperata, nemmeno io stessa mi ero mai sentita così distrutta.
Davide mi prese una mano fra le sue, passò sulla mia pelle gelata le sue dita calde. Non era mai arrivato a un gesto simile, sembrava quasi un controsenso per il suo carattere così solare. Ma in quel momento lui per me era tutto. Strinsi così tanto le sue dita che credo di avergli fatto male.
Lui mi sorrise: — Quando vorrai, potrai sempre dirmelo. Sappi che io sono qui per te.
— Ti voglio un mondo di bene — mormorai piano, avvicinandomi a lui e abbracciandolo.

Davide mi premette a lui: — Quanto è andata male da uno... A dieci?
Nonostante tutto un minuscolo sorriso mi spuntò sulle labbra: — Dopo tre anni di liceo scientifico dovresti sapere che i numeri sono infiniti.
— Come i sacrifici. Ma anche come le soluzioni.
Appoggiai il mento sulla sua spalla: — È tutto complicato. Ogni volta tornare in superficie è sempre più difficile.
Davide mi staccò da lui solo per poter guardarmi in faccia: — Hai pianto tanto?
Annuii: — Perché me lo chiedi? — aggiunsi poi.
Lui scosse la testa: — Dicono che le lacrime sappiano alleggerire testa e cuore. É vero?
— Decisamente no.

Avrei voluto parlargli del pomeriggio passato con Stefano, della voglia che avevo di rivederlo per poter ricevere anche da lui parole di conforto. E invece no, non ebbi la possibilità di rivelare ciò a Davide, e no, non potei dire a Stefano ciò che mi era successo.
Perché, in quel momento così difficile, vacillò anche l'esile fiducia che avevo cominciato ad avere verso di lui.
Infatti, quando mi sciolsi dall'abbraccio di Davide, il mio sguardo passò su tutto il cortile, fino a soffermarsi su una delle panchine a un centinaio di metri da me.

Dove scorsi Stefano. Non da solo.
Accanto a lui, infatti, vi era Adele.
Adele, che stava ridendo sonoramente, appoggiando una mano sulla spalla di lui, e Stefano, sebbene avesse detto di non essere molto coinvolto da lei, aveva un ampio sorriso sul volto.

Non seppi dire quello che provai dentro di me. Non era rabbia o tristezza, neppure gelosia, nonostante il sentimento che sentivo verso di lui.
Fu come l'ennesimo colpo alle spalle in un momento in cui ero stata ferita fin troppe volte. Quando meno sarei stata pronta a ricevere simili agguati.
Fui tentata di voltarmi e di far finta di nulla, ma non riuscii a girare il collo.

Perché avevo fatto, nonostante la miriade di pensieri che attraversavano la mia testa, una congettura. Se fosse giusta o sbagliata, il pensiero andò in secondo piano.
Può sembrare strano che io in una situazione già di per sé difficile io andassi a complicarmi la vita, ma probabilmente furono proprio quelle emozioni a farmi arrivare a quella conclusione.
Avevo conosciuto Stefano da prima che arrivasse il bigliettino; lavoravamo già in coppia.
Se fosse stata davvero Adele la mittente, c'era un solo ragazzo di cui avrebbe potuto trattarsi, uno solo.
Stefano.

IntrusaWhere stories live. Discover now