9. Metodi alternativi

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Alla fine ciò che io presentai fu piuttosto ridicolo, qualche palazzo sghembo e una strada che si addentrava fra due grattacieli. Sì, ero davvero rimasta ferma ai giorni delle elementari.
Il disegno di Stefano era l'opposto del mio: aveva racchiuso nel foglio tutte le poche indicazioni che Domenico ci aveva dato, impiegando meno di dieci minuti.
I palazzi sullo sfondo, il fiume e il ponte, tutto disegnato con così tanta cura e precisione... Mi vergognai del mio risultato.

— Sei molto bravo — gli dissi sinceramente, mettendo via il mio foglio: sicuramente non sarebbe servito.
Lui si alzò in piedi, ignorando totalmente il mio complimento: — La parte difficile sarà riportarlo senza sbagliare. Possiamo prima farlo in penna, tanto non si vedrà, ma quando cominceremo a dipingere non si tornerà più indietro.
Presi un bel sospiro: — In quanto tempo circa?
Anche questa volta Stefano alzò le spalle, probabilmente era parte del suo comportamento: — Credo che in due o tre settimane sarà finito. Poi ovviamente dipende da noi.
In quel caso, se il lavoro fosse dipeso per metà da me, sarebbe stato necessario anche un mese.

Stefano non perse tempo, appoggiò il disegno al centro del telo, mi porse una penna blu e si mise le cuffiette alle orecchie.
Ricordo di aver pensato per qualche instante di fargli lo stesso qualche domanda, sperando che mi sentisse nonostante la musica. Alla fine rinunciai: se aveva fatto così, significava che non mi voleva parlare, era inutile tentarci.
Devo ammettere che questo mi demoralizzò: ero lì per fare conoscenze e il mio compagno di lavoro, dopo esserci scambiati solo una ventina di parole, aveva già deciso che non meritavo la sua compagnia.
Avevo deciso di partecipare per riuscire ad aprirmi verso gli altri e stavo ottenendo l'effetto opposto.

Sospirando, cominciai a copiare il disegno di Stefano sul telo, procedendo con una linea incerta e non regolare. Lui, invece, era anche piuttosto rapido e stava riproducendo il suo progetto davvero in scala.
Considerando come il mio tratto fosse fatto male rispetto al suo, mi chiesi se ciò si sarebbe notato nel lavoro finale, con una parte dei grattacieli alta la metà dell'altra. Se la risposta fosse stata positiva, Stefano avrebbe aumentato notevolmente il suo distacco verso di me.
Quando quegli interminabili novanta minuti finirono, ritornammo dagli altri. Non avevamo nemmeno finito di copiare metà del progetto.
Il nostro gruppo si era unito al resto dei ragazzi, così andammo da loro nelle prime file.
Stavo per andare a salutare Emma quando venni fermata.

— Ciao, Caterina! Allora, com'è andata oggi?
Sorrisi a Lorenzo. Sembrava una delle poche persone con un po' di fiducia verso di me, quel giorno: — Bene direi, ma è faticoso. Credevo fosse molto più semplice.
Lui rise: — Se ti può consolare, a furia di suonare ho la maglia zuppa di sudore... Ma alla fine è gratificante stare qui. Escludendo le volte in cui prendi un brutto voto per non aver studiato il pomeriggio, ovvio.
— Eppure è la scuola che ci invoglia a partecipare — dissi, continuando il gioco. — Quante insufficienze hai preso, per questo?
Lorenzo infilò le mani in tasca: — Io? Forse sarebbe meglio non saperlo.
Alzai le sopracciglia.

— In realtà solo una. Ma non è stato piacevole. Quando lo ho detto a mia madre, lei ha subito capito il motivo ed è stata tentata di non farmi più venire. Per fortuna ha desistito.
Io abbassai lo sguardo, con un sorriso leggero sul viso.
Lorenzo incrociò le braccia sul petto: — Scommetto che tu sei sempre andata bene a scuola, vero?
Non sapendo cosa fare, strinsi le mani: — Non mi hanno mai bocciato, se è questo che vuoi dire. Ma ho preso qualche insufficienza.
— Una, o due? Non prendermi in giro.
Io scossi la testa: — Tre, per la precisione. Tutte alle medie.
Non mi piaceva parlare dei miei risultati scolastici, e credo che Lorenzo lo capì.
— Sappi che stimo le persone studiose, forse perché io non lo sono mai stato molto...

— Però sei bravo a suonare, io non ne sarei capace; quasi nemmeno riesco a disegnare — gli feci notare, in modo da spostare l'attenzione su altri argomenti.
Lui scosse la testa: —Non credo proprio, alla fine farai un ottimo lavoro. E... Come va con Stefano?
Inarcai un sopracciglio: —Come, scusa?
— Vi ho visti uscire insieme dalla stanza, era solo per semplice curiosità — disse alzando le spalle.
Gli sorrisi: — Normalmente... Voglio dire, ci conosciamo da pochissimo tempo e...
—Certo, capisco — ammise Lorenzo alzando la testa. —Ma Stefano è un ragazzo particolare, insomma, non è la persona più semplice con cui parlare.
Feci un passo indietro, non capendo i suoi riferimenti: — Cosa vuoi dire?
Scosse la testa: — Nulla, è che lo conosco da talmente tanto tempo... Ora devo davvero andare, alla prossima, Caterina.
Sorridendo, mi salutò e se ne andò.

Non avendo ben chiaro il senso del discorso, mi voltai alzando le spalle.
Mi diressi così da Emma, che non appena mi vide mi sorrise : — Un bilancio di questo pomeriggio?
Presi un sospiro: — Se vuoi vedere il mio lavoro è di là su tavolo impolverato, in una stanza puzzolente e preistorica. Ma sono soddisfatta, io e Stefano ci siamo detti ben venti parole prima che si infilasse le cuffiette e non mi rivolgesse più nemmeno uno sguardo.
Emma capì dal mio piccolo sorriso che non ero sul punto di piangere: — Vedrai che alla fine farete un lavoro fantastico. E forse riuscirete anche a parlare decentemente. Ma cos'hai fatto, per la precisione?
Sempre scherzosamente, le spiegai quel poco che avevo fatto. Ripetendolo, mi sembrò ancora più noioso. Ma non avevo cattive previsioni verso ciò che mi avrebbe aspettato negli incontri successivi. Il perché, in quel momento a me ancora inconscio, tutto nelle prossime parole.

***

— Verrò a teatro solo per vedere quello, Cat, solo per quel telo!
Come previsto, al racconto del pomeriggio passato, Davide era scoppiato a ridere. Il mio sguardo truce lo aveva fermato dal fare una battuta e dal ricordare qualche momento spiacevole dell'infanzia.
Eravamo in classe, all'intervallo, ed eravamo seduti sul suo banco. Emma era andata a comprare qualcosa da mangiare, quindi eravamo soli.
— Lo sai, vero, che alla prossima frase sgradita potrei non perdonarti più? — lo misi in guardia.
Lui annuì: — Certo che lo so. E io ci tengo alla mia pittrice preferita, per cui starò zitto il più possibile. Ma non posso prometterti nulla.
La campanella suonò e ci separammo. Emma ritornò in classe poco prima dell'arrivo dell'insegnante e mi sorrise.

Le due ore a seguire sarebbero state d'italiano, una delle mie materie preferite, per cui ero di buon umore.
La professoressa, però, era diversa dal solito; entrando in classe, mi rivolse un sorriso aperto. Spostò poi il suo sguardo su Adele.
Quando si fu accomodata, appoggiò le mani sulla cattedra e prese parola.
— Ragazzi, non so se ne siete a conoscenza, ma come gli altri anni la scuola ha indetto un concorso di poesia.

Il concorso. Ogni anno finivo fra i candidati della professoressa e puntualmente ogni anno rifiutavo. Il motivo non era per le poesie, anzi, a me piace tuttora scrivere, ma riguardava il fatto che l'altra partecipante della mia classe fosse tutte le volte Adele. E io non me la sentivo di mettermi in competizione con lei e di ricevere solo male parole per un'attività facoltativa che potevo evitare.
— Anche questa volta, ho dovuto scegliere due fra gli alunni con un rendimento più alto... E ho deciso di proporre Castelli e Guidi, se ovviamente loro vorranno accettare.
Così la professoressa e tutto il resto della classe cominciarono a guardare me e Adele.
La mia compagna non aveva mai vinto, ma la sua autostima non sembrava averne risentito. Insieme a lei aveva sempre partecipato Carola, la terza ragazza fra le più promettenti, senza ottenere mai nessun risultato.
Negli occhi di Adele brillava già la voglia di apparire e di essere sempre la più brava.
— Io vorrei partecipare.

Dicendolo, presi inavvertitamente anche un sospiro.
Questa volta gli sguardi di tutti erano davvero puntati solo su di me. Adele, per prima, mi fissava stupita.
La professoressa annuì, senza evitare di aprire le labbra in un sorriso soddisfatto: — Molto bene. Castelli, hai deciso?
Se era stupita non lo diede a vedere.
Adele, d'altro canto, era evidente che non si aspettava la mia partecipazione. Non perse però la sua altezzosità.
— Certo, professoressa.
Così mi ritrovai dentro a un'altra storia. Meno patetica di quella dov'ero una pittrice, ma ugualmente improbabile. E forse più tortuosa.

IntrusaWhere stories live. Discover now