capitolo terzo

461 22 1
                                    

Quando si risvegliò era già giorno inoltrato. La luce del sole penetrava dalla finestra  attraverso le pesanti tende, era in una stanza che le era sconosciuta, si trovava in un letto matrimoniale gigantesco, con lenzuola di lino fresche e profumate di lavanda, come appena lavate. Si tirò a sedere barcollando un po' dal mal di testa.
Si guardò intorno. La stanza aveva un aspetto neutro, asettico perfino. Non c'erano effetti personali, quasi tutto il mobilio, tolta la gigantesca libreria a parete, era vuoto e aveva un aspetto freddo. L'unico oggetto personale che c'era nella stanza era un portaritratto sul comodino alla sua sinistra: era suo, portato probabilmente da Brianna o Ivy. Ritraeva loro tre qualche mese prima sulla neve bardate con i bastoncini da sci in mano. Era stata scattata poco dopo Natale quando avevano fatto una gita sulla neve tutti insieme.
Brianna era stata fotografata, come al solito, con gli occhi semiaperti e un'espressione da pesce lesso, come sempre quando si metteva in posa, il suo cappellino era anche storto sul capo. Ivy sembrava uscita da un set fotografico, era impeccabile coi lunghi capelli lisci che non apparivano minimamente scalfiti dall'umidità e dalla neve, sorrideva al fotografo con uno charm perfetto, da fotomodella. Lei era in centro, come accadeva spesso nelle loro fotografie, non era stata fortunata tanto quando Ivy perché i suoi capelli erano gonfi, ricci e disordinati, pieni di neve, aveva le guance arrossate dal freddo così come la punta del naso e le sue labbra erano un po' screpolate, ma sorrideva a trentadue denti come una bambina la mattina di Natale.
Posò nuovamente la foto al suo posto, scostando le coperte dal suo corpo. Aveva il petto bendato, e si sentiva un po' la testa vorticare, le brontolava lo stomaco.
Non fece in tempo a pensarlo che qualcuno bussò alla porta della stanza.
«Avanti» chiamò, ricoprendo le gambe scoperte, e cercando di riordinarsi i capelli che certamente rassomigliavano a un nido di vespe.
Ad entrare fu Casey, la licatante, sembrava perfettamente illesa, indossava degli anfibi da battaglia, un paio di skinny jeans grigi e una felpa scura col cappuccio rosa shocking, sopra portava un giacca di pelle scura tempestata di borchie, non era truccata e aveva raccolto i capelli in una coda di fortuna, un po' disordinata, eppure appariva perfettamente eterea. In mano portava un vassoio colmo di cibo.
«Ti senti meglio?» le domandò, avvicinandosi al letto e porgendole il vassoio.
«Ho un gran mal di testa - la informò - e mi sento intorpidita al petto. Ma sto bene.» assicurò, ringraziandola e posando il vassoio davanti alle proprie gambe incrociate.
«Bene. Cominciavamo a preoccuparci» le fece notare, afferrando una bustina medicinale e versandone il contenuto in un bicchiere di vetro, prima di riempirlo di acqua.
«Antidolorifici» le disse, porgendole il bicchiere.
«Grazie» mormorò, allungando una mano, ma la licatante lasciò la presa sul bicchiere prima che lei lo avesse afferrato, facendolo cadere a terra.
Poteva già sentire risuonare nelle orecchie il rumore del vetro infranto sul pavimento, ma con sua grande sorpresa si ritrovò a stringere il bicchiere in mano, come se il suo corpo avesse agito di sua spontanea volontà, reagendo alla caduta del bicchiere senza neanche battere ciglio. Osservò stranita la propria mano, e poi alzò gli occhi su Casey.
«Molto bene» consentì lei annuendo come sovrappensiero.
Prima di riuscire a portare il medicinale alla bocca le apparve di vedere tutto sfocato, poi troppo nitido e di nuovo annebbiato. Ricadde con la schiena contro i cuscini portandosi una mano alla tempia.
Avvertì la mano di Casey sulla sua spalla e aprì gli occhi, lei le portò il bicchiere alle labbra.
«È normale - sussurrò - il tuo corpo sta cambiando. Hai bisogno di riposo.» la invitò a bere e Enyo obbedì, reclinando con un gemito la testa contro i cuscini.
«Dove mi trovo?»
«Nella tua nuova stanza.» replicò la licatante, dandole un buffetto sul viso e facendole cenno di mangiare qualcosa.
«Mi è passato un po' l'appetito.» le disse, ma di fronte al suo sguardo esasperato poté leggere sul suo viso una sola risposta mangia o mi costringerai a imboccarti
«Io ho già una stanza. Non necessito di una stanza nuova» protestò, afferrando un lampone e mettendoselo in bocca.
«Kit non si sentiva tranquillo avendoti così lontano e ha bisogno di stare qui per badare ad alcuni affari.» le spiegò «Non avrebbe lasciato il tuo capezzale se non fosse importante.»
La morsa che aveva subìto allo stomaco si allentò e addentò avidamente un croissant.
«Da quanto sono qui?»
«Hai dormito per due giorni» replicò Casey, tastandole la fronte «La febbre è scesa fortunatamente. Cominciavo a preoccuparmi.»
«Che cosa è successo dopo...?»
«Cosa ricordi?»
«Ricordo che sono stata medicata e fasciata, ma è tutto un po' sfocato... avevo le vertigini e i brividi...»
«Avevi la febbre alta. Ti abbiamo dovuto immergere in una vasca di ghiaccio per far scendere la temperatura.» raccontò «Poi hai avuto uno shock a temperatura fredda... solo sta notte ti sei stabilizzata un po'.» aggiunse, spostandole un ciuffo di capelli dal viso.
«...è colpa delle ferite?»
«E dello shock» aggiunse «Il tuo corpo non era pronto per il cambiamento»
«Ma di che cosa parli?» domandò stropicciandosi gli occhi, interdetta.
«Io...»
La licatante fu interrotta dalla porta che si apriva senza preavviso, Casey saltò in piedi, portandosi le mani alla schiena e facendo un cenno col capo.
Ad entrare era stato il licatante dalla camicia viola, che ora indossava solo una tuta con una felpa scura, eppure non appariva meno attraente e affascinante, non ai suoi occhi perlomeno. Era evidentemente stanco e spossato, ma appariva comunque bellissimo ai suoi occhi. Un formicolio intenso e sconosciuto, caldo e solleticante la invase, e fu certa di essere arrossita come un pomodoro, improvvisamente conscia di essere seminuda, in una forma grandemente lontana dalla migliore davanti a lui.
Lui si passò una mano sul viso, e mentre lei non riusciva a staccargli gli occhi di dosso Casey recuperò il vassoio, le fece un cenno col capo e uscì in silenzio, chiudendosi la porta alle spalle.
Imbarazzatissima, guardò ovunque ma non lui, finché non se lo ritrovò seduto di fronte con una mano posata sulle sue gambe.
«Come ti senti, cor meum? » le domandò, onestamente preoccupato.
«Confusa.» gracchiò con voce sorprendentemente roca, rabbrividendo nel solo sentire la sua voce.
«Grata.» aggiunse, e in uno scatto di audacia posò la propria mano sulla sua, sulle sue gambe «Grazie per avermi salvato la vita - dichiarò seria in viso - e per esservi presi cura di me. Non ho ancora ringraziato Casey, sono proprio stata maleducata.» considerò, scuotendo il capo dispiaciuta.
«Non devi» mormorò lui, intrecciando le loro dita, in una stretta che sembrava la più naturale del mondo «Casey ha solo svolto il suo dovere, difendendoti.»
«Non era costretta» replicò «Ha rischiato la vita per una perfetta sconosciuta» gli fece notare, contrariata.
Lui scosse la testa, con, però un'espressione affettuosa sul viso, le scoccò inaspettatamente un bacio sulla fronte mormorando delle parole dal suono melodico contro la sua pelle.
«vos eritis mihi in ruinam» mormorò.
Qualcuno bussò alla porta e lui si lasciò andare ad un sospiro di rassegnazione, lei lo osservò col capo inclinato di lato, interdetta.
Le accarezzò il viso con una mano, prima di andare ad aprire la porta: «Ho pensato che avessi bisogno di un po' di sostegno - le disse - così ho portato la cavalleria» aggiunse, aprendo la porta.
Due fulmini entrarono nella stanza lanciandolesi al collo, e lei fu avvolta dai profumi famigliari di Brianna e Ivy.
«Ero così preoccupata» sussurrò Ivy, stringendola convulsamente.
«Sto bene, davvero» le rassicurò, sciogliendosi dal loro abbraccio, studiandole attentamente. Sembravano stanche, ma serene.
«Sicura?» domandò Brianna lanciando una neanche tanto incospiscua occhiata verso il licatante che si era seduto sulla poltrona alla scrivania, lasciando loro un po' di privacy.
«Sì, Brianna, sono sicura» commentò, un po' inacidita dall'evidente considerazione della sua amica: l'avevano salvata, medicata e si erano presi cura di lei; Brianna aveva proprio poco di cui essere sospettosa.
Fece per tirarsi in piedi, lanciando uno sguardo offeso alle sue amiche, che sembravano imbarazzate dal loro comportamento sospettoso.
Appena si mise in piedi, però, il mondo parve vorticare dalle vertigini, e si sentì le gambe di gelatina e si accorse appena di stare per perdere l'equilibrio, avendo giusto il tempo di prepararsi all'impatto con il pavimento freddo.
Un braccio le si avvolse intorno alla vita, appena da sotto la canottiera che indossava, a contatto con la sua pelle che appariva a malapena accaldata, sollevandola appena da terra.
Alzò lo sguardo incontrando i profondi occhi azzurro-grigi del licatante.
«Stai bene?» mormorò, con voce roca e suadente.
Non fidandosi della sua voce si limitò ad annuire: «Ho avuto un po' le vertigini... non ho forza nelle gambe» lui annuì e per qualche istante non ci furono che loro due nella stanza.
Poi, l'incantesimo si infranse, lui la sollevò, afferrandola da sotto le ginocchia e abbracciandosela al petto, ignorando le sue due amiche e dirigendosi nel bagno.

Princess of DarknessKde žijí příběhy. Začni objevovat