La solitudine degli altri - parte 2

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Respiro a pieni polmoni. Finalmente la porta della galera si è schiusa per lasciare spazio alla prima sera in cui posso dirmi libera. Libera di essere ciò che sono; che poi, se assolta o fuggitiva, questo non lo deciderà più nessuno.
Ho lasciato tutto immutato com'è.
Voglio ricordarlo così, questo posto che mi ha lasciata marcire nel veleno che credevo fosse nettare.

Ha trasformato le fattezze ancora acerbe che possedevo, nella derelitta che sono stata fino a ieri. Sarei dovuta crescere come un fiore, e invece mi ha abbracciato steppa sterile dalle mille spine di rovo.
La tavola imbandita e la cena fredda che non consumerò mai. Una candela rossa, resterà l'ultima fonte di calore per me, in quella casa.

Sarà un fermo immagine che fingerò di non aver immaginato.
Solo questo, resta: l'incubo di una notte durata l'eterno riposo di un sogno. E il giorno? Mi regalerà nuovo sole caldo e abbagliante che mi aprirà gli occhi a nuove albe senza per questo rendermi cieca.

La strada non fa più paura. L'aria, pregna di freddo secco mi scuote dal torpore per cui ho tremato.
Deserta e solitaria, si lascia attraversare da me, che sono probabilmente l'unica anima vagante in questa vigilia di falsi Dei. Sola sì, ma mai più desolata.

Le vetrine dei negozi riflettono le luci e gli addobbi natalizi dei palazzi circostanti.
Il silenzio è un lenzuolo blu profondo steso tutt'intorno ad ogni mio passo.
I focolari accessi degli altri, sono il sottofondo migliore potessi ricevere.
Sono una falena accompagnata sulle note di una fanfara tutta personale.

Persino il mercatino rionale, sembra rianimarsi di vita al mio passaggio.
I sampietrini fanno da tappeto volante, trasportandomi piano per i vicoli bui di un nero che non riesco più a vedere; di nero dovranno esserci soltanto i miei occhi, com'è sempre stato.
I cori che provengono dalle piccole chiese sono pronti per la venuta del proprio idolo. Le coincidenze del caso: nascere oggi per poi morire domani, per lui; morire ieri per risorgere ora, per me.

Il suono mi attira, mi spinge a mettere un piede e poi l'altro in fila fino alla brezza che richiama il mio corpo lontano.
Lontano, dove so che troverò riparo anche se il clima rigido lo rende impossibile.
Non ho più limiti da superare, si può tutto in questo momento di sacro misto al profano che vivo, dove gli anni passati, l'ho reso tinto dal sangue colato dagli occhi.

Ed eccola pronta, a farsi spazio tra le narici fino ad arrivare alla memoria più antica.
La salsedine, che è sempre stata anestetico etereo per ogni mio male.
E sale: sale il sale che sa di dolce eutanasia. Nella follia di saperla casa dalle mura invisibili, dove mi ha accolta ferita e lesa e mi ha resa invincibile.
Pochi metri di scorciatoie già fatte mille volte, perché la perfezione ritrovi il suo equilibrio stabile.

Nel centro vitale di una città nata da una sirena bella quanto dannata, pronta a cantare il suo amore al gigante buono fatto di fuoco.
È qui che torno, quasi vicina a ritrovarmi dove mi sono infranta e riaggiustata tante volte da aver perso il conto. Deve esserci ancora polvere di me, nascosta da qualche parte indefinita: detriti e schegge portate via da una folata improvvisa di vento.

Ce l'ho quasi fatta, ed un freno stridente mi arresta prima che arrivi l'inizio di qualsiasi cosa mi aspetti domani.
La sagoma di un uomo con lo sguardo perso nell'ultimo pezzo del mio traguardo.
Mi preoccupa, mi inquieta, con la sua postura da animale ferito in cerca di un briciolo di pace nel giorno del sereno per antonomasia.
Indietreggio con cautela sperando non mi abbia vista, ma è tutto vano. Ad ogni mio futile tentativo di ritornare indietro, sento lo scricchiolio delle sue scarpe sull'asfalto trascinarsi lento in avanti.

E mi blocca, e sussurra resa a mani in tasca e capo chino con parole che cambiano tutti i pensieri cattivi che ho potuto rivolgergli in due minuti scarsi di tempo.
E la mia clessidra al timore costante, è vulnerabilità trasudata dal sapermi preda in una strada senza uscita.

- Non sono un ladro, - sento dirgli.
- Ho solo staccato adesso dal lavoro.
Ancora stento a fidarmi, rintanandomi nello spazio più nascosto che riesco a ricavare, all'angolo di un palazzo fatiscente che ha visto giorni migliori.
- Dico sul serio, - continua.
E mi sento colta in fallo dalla poca fiducia che ho di solito verso il prossimo, mista ad un pizzico di orgoglio che non voglio accettare mi stia tradendo.

- Non ti ho scambiato per un ladro, - azzardo con voce tremante, ma ancora ben celata a quegli occhi che potrebbero appartenere a chiunque.
E la sua mancata risposta mi lascia intendere che non ci abbia creduto veramente. Decido così di uscire fuori dalla mia tana improvvisata. Rischiaro la gola infame che mi boicotta ogni qual volta un sentimento contrastante mi invade, e ripeto molto più decisa.
- Non ti ho scambiato per un ladro, è solo strano trovare altre persone in giro a quest'ora, durante le feste.

E con le spalle basse mi lascia intendere che da festeggiare non avrà probabilmente nulla.
- Stai tornando a casa? - gli chiedo non sapendo come fare per smorzare i resti dell'imbarazzo che ancora mi invadono.
- No, casa mia è dall'altro lato della città.
- E perché sei qui? - gli sorrido tranquilla, come se la paura di poco prima mi avesse abbandonata del tutto.
- Non avevo voglia di tornare a casa, tutto qua. E tu?
E nella domanda scorgo il cipiglio che aveva poc'anzi, scivolargli piano giù per i vestiti.
- Io mi annoiavo di restarci, - mento. Ma non mi va di essere spudoratamente me stessa con uno sconosciuto che molto probabilmente non rivedrò mai più.

- Dove lavori? - domando avvicinandomi un millimetro al secondo.
- Al ristorante in via Colombo, il servizio è appena finito.
Passo in rassegna mentale tutte le conoscenze fatte o incrociate nella mia vita, e mi pare di non aver mai avuto la fortuna di avere a che fare con nessuno che lavorasse in campo alberghiero.
- Cuoco?
- Già.
- Da come lo dici, immagino non ti piaccia poi tanto.

- Ci hai preso, - mi risponde gettando ai suoi piedi i resti di quella che presumo sia una sigaretta.
- Non immaginavo di trovare un'anima viva qui intorno.
Ho notato nella sua espressione un chiaro segno di stupore, quando mi ha scorta. Al contrario della mia riluttanza nel credere a chissà quale film mentale dai toni gialli abbia girato nella mia testa.
- Per questo mi sono un po' stranita, quando ti ho visto, - ammetto colpevole.

- Guarda che non mi offendo se dici che mi hai scambiato per un malintenzionato.
Colpita e affondata.
- Ok, ma sono giustificata, no? - E sbircio di sbieco con le guance in fiamme, per il mio riuscire ad essere sempre la bambina timida che credevo mi avesse abbandonato.
- Caspita se lo sei. Tra l'altro non dovresti andartene in giro a quest'ora. È pericoloso.
Ancora non riesco a credere alle mie orecchie. Solo io posso essere in grado di ricevere una ramanzina da un perfetto sconosciuto la notte di Natale.

- Meglio qui che altrove, - rispondo di getto senza pensarci. E maledico me stessa e la mia linguaccia per essere sempre tempestivamente fuori luogo in ogni circostanza.
- Correrò il rischio, - proseguo. E quasi mi metto a sedere sulla panchina in ferro che sembra stata messa lì apposta per noi.

- Hai una destinazione? - continua incalzante.
- Lontano da qui, - è l'unica verità riesca a dire per non espormi troppo.
Un sorriso sincero gli si affaccia agli angoli delle labbra, come se in qualche modo le mie, fossero le risposte alle sue, di domande incompiute, stanotte.
- Conosco un bar aperto tutta la notte. Il caffè fa un po' schifo e i dolci al banco sono di qualche giorno fa, ma tutto sommato non è male.

Lo guardo stupita. Non mi sarei mai aspettata uno slancio gentile. Pochi minuti fa, sembrava quasi volesse sbranare il mondo.
- Non ti sto chiedendo di uscire, - si corregge. - Ma non ho un bel niente da fare e tu lo stesso, perché no?
- Perché no? - chiedo a me stessa più che come conferma diretta a lui.
- Stare da soli non è un granché, - ammetto.
- Già, fa piuttosto schifo.

Ci penso più del dovuto, continuo a torturami le dita come faccio di solito in preda ai miei dilemmi esistenziali.
Lo fisso negli occhi, stavolta. E devo dire che sono stata una stupida a non averlo fatto prima. Mi perdo nel verde misto all'ambra che li invade, e ci annego di gusto, pensando a quante possibili nuanches potrebbero venir fuori dalla fusione dei nostri sguardi.
- E dove sarebbe questo bar? - rispondo in fine.
- Faccio strada io.

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⏰ Last updated: Dec 23, 2017 ⏰

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