Champagne, Cocaine, Gasoline

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Un tiepido sole di fine maggio fece capolino in una villa appena fuori Parigi, la città delle luci. Questo potrebbe essere l'inizio di uno di quei romanzetti all'interno delle riviste per signore, in grado di trasportare casalinghe affaticate e stanche impiegate lontane dal loro mondo per un po'. Almeno fino alle prossime vacanze estive. E in effetti potrei davvero raccontare di qualche coppietta sdolcinata, se la figura che il raggio di sole aveva deciso di disturbare non fosse stato un ragazzo dai lunghi boccoli biondi, riverso in una posizione quasi innaturale in una vasca da bagno. Pian piano che la persiana si apriva, spinta da una dolce brezza, la luce illuminò tutto il suo corpo. Indossava solo un jockstrap leopardato e una una bralette di pizzo rosa tenue. Ai suoi piedi, un paio di scarpe a tacco alto.
Ma come ci era finito lì, con in mano una bottiglia di vodka costosa? Nemmeno lui lo sapeva. Si svegliò di colpo, sbattendo le palpebre, e cercò di mettersi a sedere, ma un capogiro lo costrinse a poggiare nuovamente il capo. Si passò quindi la mano sul viso, sbavando i rimasugli di rossetto color Hollywood che ancora gli rimanevano sulle labbra. Sperava che quel gesto lo avrebbe aiutato a ricordare, ma tutto quello che gli riaffiorò alla mente fu solo un insieme di flash confusi.
Pasticche arcobaleno.
Guanti di gomma.
Universitari ubriachi.
Luis con sua cugina Sophie e Athenais. No, forse non era Sophie, era sicuro che lei non fosse venuta a quella festa. Forse era Lav, diminutivo di Louise La Vallière, con cui si dicesse che avesse un rapporto di amicizia controverso.
In ogni caso, niente di utile.
Riprovò a sollevarsi, con calma questa volta. Combattendo contro il mal di testa da ebbrezza, riuscì a mettersi seduto. Una volta che la sua testa smise di girare in modo così incessante, si premurò di guardarsi intorno. Ai piedi della vasca da bagno, almeno mezza dozzina di persone giacevano dormienti sul pavimento. Chevalier contò quattro ragazze, metà delle quali senza almeno un indumento, e un ragazzo con completamente nudo. Dell'ultima persona, era quantomeno difficile indovinare il sesso.
Con uno sforzo sovraumano, Chevalier si alzò e si avviò barcollante fino alla porta. Era però il caso che si mettesse qualcosa addosso, dal momento che probabilmente non era il solo sveglio. Così, gettando un'altra rapida occhiata al bagno che stava per lasciarsi alle spalle, scorse una vestaglia di tulle e piume rosa pastello. Ci mise poco a decidere che faceva per lui: d'altronde, stava ancora indossando un paio di tacchi a spillo. Questa volta era veramente intenzionato a uscire dal bagno per raggiungere almeno la cucina. Conosceva bene quella casa, meno il suo padrone. Luis aveva frequentato la facoltà di scienze politiche e sembrava destinato a diventare il prossimo presidente francese. Almeno, questo era quello che aveva sentito in giro. Non che gli importasse molto. L'unico dato che poteva dare per certo era che le sue feste erano rinomate non solo alla Sorbona, dove tutta la famiglia dei Bourbon aveva compiuto i suoi studi, ma anche nelle varie accademie sparse per la città. Era qualcosa che si evinceva anche da chi, troppo ubriaco per tornare a casa, dormiva in giacigli di fortuna. Era impressionante quanti fossero, decine di menadi sfinite dopo un baccanale. In effetti, doveva sembrare proprio così la festa che si consumata la sera precedente. Litri di alcool, rispettabili figli di politici e avvocati mischiati a ragazzi che si erano guadagnati un nome da soli che si dedicavano ad attività ricreative spesso rese illegittime dalla morale o dalle leggi.
In qualche modo, però, Chevalier doveva smaltirne gli effetti. Arrivato miracolosamente in cucina, schiacciò la levetta del ghiaccio. Applicò due cubetti grossolani sulle tempie, con gli occhi chiusi, e si appoggiò con la schiena al piano di lavoro. Finalmente un po' di pace. Almeno, fino a quando riaprì gli occhi.
« E tu chi sei, faccia d'angelo? » domandò all'uomo che si stava preparando una spremuta d'arancia, incurante di tutto il caos intorno a sé. Non era l'unico dettagli che lo faceva sembrare totalmente fuori luogo: di certo, il suo abbigliamento era alquanto peculiare. Portava pantaloni di un completo blu scuro, una camicia bianca con un delicato motivo a origami e una cravatta carta da zucchero strettamente annodata. Le maniche arrotolate delineavano gli avambracci, squisitamente virili, mentre qualche ricciolo corvino scappava dalla riga di lato che teneva pettinati i capelli con fare professionale. Persino le mani erano curate, perfettamente levigate e dall'aspetto soffice, come avrebbe constatato più tardi.
« Philippe. » rispose, sollevando appena la testa per guardare il nuovo arrivato. Riabbassò poi gli occhi in fretta, concentrandosi sulla metà di arancia ancora da spolpare. Probabilmente, l'aver visto un uomo con addosso abiti così succinti l'aveva imbarazzato.
'È arrossito' notò Chevalier, sollevando un angolo delle labbra. Si spostò poi verso uno degli sgabelli, anche se per farlo dovette fare lo slalom tra un ragazzo dalla lunga barba e un liquido non indentificato. « E cosa ci fai qui, Philippe? » Oh, non avrebbe demorso. Era un bocconcino troppo buono per lasciarselo scappare. Probabilmente era il debole che aveva per gli uomini d'affari in completi eleganti, o per quei pantaloni tanto stretti da lasciare abbastanza spazio all'immaginazione.

Le Parking des AngesWhere stories live. Discover now