Ma porco cane.

Proprio in quel momento Valeria sentì uno scalpiccio attorno a sé e intravide alcune figure attraverso la tela.

Ferma, immobile. Tanto ferma da diventare parte dell'ambiente. Con un po' di fortuna 'sta gente non avrebbe fatto caso ad un lenzuolo caduto proprio di lato, accanto alle scale.

«È ancora là dentro?»

«O ce la siamo fatti scappare?»

«È pazza! Non può...»

«Dobbiamo riportarla in questura.»

Questo mai!

Probabilmente il gruppo, non vedendola, si era inoltrato nel vicolo, perché sentiva i loro passi allontanarsi.

Non perse tempo ad accertarsene e si levò bruscamente il lenzuolo di dosso, gettandoselo dietro e ricominciando la sua corsa.

Percorse la piazza principale quasi volando, anche se ormai non sapeva più dove prendere l'aria. I polmoni... riserva d'ossigeno... qualcosa del genere.

Incespicò, superò la gelateria "I giardini di marzo", quella dove lei e Anna mangiavano sempre la coppa triplo strato con bouquet di biscotti d'estate, e si lanciò giù per la discesa che portava dritto davanti alla scuola.

Quante volte aveva fatto quella strada e non si era mai accorta di quanto fossero scivolosi i ciottoli e fosse troppo esposta rispetto alla piazza per nascondere una ragazza che correva alla disperata?

Ed ecco che già dalle vie attorno si riversava la gente, e quelli che finora l'avevano solo guardata imbambolati si univano agli altri.

Ma certo. Lo sapevano anche loro che sarebbe tornata a scuola, no? Lì era stata arrestata, lì sarebbe tornata.

Erano ancora lontani, comunque, e lì staccò sull'ultima curva, perché loro non correvano come lei; non avevano un posto dove andare con così tanta forza che non importava che le gambe si spezzassero e il cuore battesse troppo ed esplodesse.

E mentre correva e non faceva altro che correre le venne in mente una canzone, confusamente e così poco all'improvviso che forse la canticchiava già da un pezzo senza rendersene conto: "...quando si correva per rabbia o per amore, ma fra rabbia ed amore il distacco già cresce, e chi sarà il campione già si capisce".

La scacciò dalla testa, perché doveva solo pensare a mettere una gamba davanti all'altra, solo questo.

Attraversò il cortile, sfrecciando sul ghiaino e schizzando pietruzze grigie dappertutto.

Sollevò lo sguardo sulla scuola, perché era arrivata, ce l'aveva fatta...

L'urlo di Anna. Poi lo sparo, subito.

Valeria per un attimo rimase perplessa davanti all'edificio, con la testa inclinata. Non riusciva a capire il senso di quello che stava succedendo.

Prima che se ne rendesse conto era a terra e stava urlando.

No, non era un urlo, era un rantolo, perché non aveva più fiato.

Anna era morta.

Si chiude il sipario. Buio.

Quando arrivò il primo schiaffo Valeria ritrovò quello che le stava attorno.

Fu come se qualcuno avesse schioccato le dita dentro alla sua testa. Era in piedi, anzi, forse era più esatto dire che a tenerla in piedi erano le spinte della gente che aveva attorno, ed era circondata da facce, decine di facce che ondeggiavano.

Istintivamente alzò il braccio per parare il secondo schiaffo.

«Oh, sei tornata fra noi.» fece una voce falsamente impressionata. Difficile dire a chi appartenesse.

Qualcuno la prese per i capelli. Questa volta lei non cercò di difendersi.

Eccola lì, pronta per il linciaggio, il mostro che aveva ucciso sua sorella in un modo che nessuna di quelle persone poteva sospettare: sbagliando.

«Lasciatela.»

Le persone, al suono di quella parola calma, non si allontanarono, ma chiunque la stesse trattenendo la lasciò andare.

Valeria crollò sulla ghiaia, come un rifiuto restituito dal mare sulla battigia. Davanti a lei c'erano un paio di sandali spessi.

«Torni in centrale, Valeria.» le disse il commissario.

La fece salire sulla volante. Valeria non sapeva chi aveva attorno, non riusciva neanche a dare una collocazione precisa alle cose nello spazio.

«Immagino che adesso abbia capito.»

Valeria annuì.

Questo fu tutto quello che si dissero durante il viaggio in macchina.

Valeria entrò in questura come se niente fosse e si risedette al suo posto.

Sentiva una strana pace dentro di sé: era finita, non c'era più niente da fare. Era una pace arida, come se fosse morta, ma pace, senza dubbio.

Meglio restare lì che andare dovunque stesse andando, meglio perdersi per sempre in essa e non tornare più.

«In carcere non resterò tutta la vita, per omicidio.» disse con distacco quasi professionale, innaturalmente calma «Quando mi toglieranno di mezzo?»

Il commissario le rispose come se parlasse dei danni della pesca abusiva di trote nei piccoli comuni della Valle d'Aosta: «Non appena sarà credibile un suo suicidio.»

«Capisco.»

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