«È sempre così distratta, signorina Cooper?» sbotta.

Scuoto la testa e mi metto dritta. Abbasso lo sguardo sul vestito e lo sistemo con le mani.

«No, in realtà no», rispondo. «Non l'ho sentita scendere dall'auto, tutto qui.»

Come d'abitudine, non risponde; si allunga oltre il mio corpo e chiude la portiera alle mie spalle. Il suo braccio sfiora involontariamente il mio fianco e sussulto. È un contatto leggero, quasi impercettibile, tessuto contro tessuto, eppure è come se fossi all'improvviso nuda e un lampo di brividi mi pulsa sottopelle, sgorgando nelle vene in piccole scosse elettriche. Lui si ferma qualche istante per ricambiare il mio sguardo e avvampo. È la prima volta che ci troviamo così vicini, i suoi occhi proiettati nei miei, e un barlume illeggibile gli attraversa il viso impenetrabile. Riesco a sentire perfino il rumore lieve prodotto dal suo respiro regolare, e il suo profumo mi invade le narici, annebbiandomi la mente e mandando al tappeto la razionalità.

«Ha freddo?» domanda.

«No, grazie», balbetto, spostando i capelli su una spalla e distogliendo lo sguardo.

«Bene, allora andiamo», risponde, incamminandosi verso l'entrata dell'edificio.

Misuro i passi in modo da rimanere al suo fianco e non dietro, cercando di riprendere il controllo della mia mente ancora inebriata dai suoi occhi e dal suo profumo. Non posso concedermi queste reazioni, è un mio collega a cui non sto neanche particolarmente simpatica.

«Questo palazzo è immenso», sussurro, sollevando la testa. Sulle vetrate dei piani bui si riflette la luce tenue prodotta dai lampioni posti sui marciapiedi e tento di immaginare gli interni.

«La festa si svolge nell'attico all'ultimo piano», spiega lui, bloccandosi davanti al portone principale dalle rifiniture di un argento brillante. Schiaccia l'ultimo tasto, che corrisponde all'ultimo campanello, e attende.

«Soffre di vertigini?» mi chiede.

«Dipende dalle altezze.»

Apre il portone e mi fa cenno di entrare per prima.

«Credo che le altezze facciano paura un po' a tutti», continuo.

«Non a me.»

Ovviamente. Non a lui.

Raggiungiamo in silenzio l'ascensore che troviamo già aperto.

«Avrà freddo», dice lui, rompendo il silenzio.

«Cosa?» chiedo.

«Non ha la giacca. Avrà freddo», ripete, guardandomi con la coda dell'occhio.

Dirotto lo sguardo verso l'indumento che sto indossando e faccio spallucce. Non fa davvero freddo, è esagerato.

«No, non penso.»

«Le verrà un malanno, invece. Lassù fa freddo», ribatte risoluto.

Si sta preoccupando della mia salute perché gli interessa, oppure è solo un riflesso naturale dovuto alla sua professione?

«Anche se fosse così, non ho altro con me. Ho dimenticato la giacca.»

Lui accenna un rapido sorrisetto, mantenendo lo sguardo fisso davanti a sé. In un battito di ciglia, si sfila l'elegante giacca nera che ha indossato prima di scendere dall'auto e si avvicina per posarla sulle mie spalle. Mi imporporo, come accade spesso quando è troppo vicino e invade in qualche modo il mio spazio personale. Sono una persona abbastanza spontanea, ma con lui mi viene difficile capire come agire; un po' per il suo comportamento, un po' per il modo in cui riesce a mettermi in soggezione.

Doctor Dream 1&2Hikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin