Come i fiocchi di neve

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Ad Alessandro, che mi insegna a correggere i miei errori,
a Noemi, che mi ha dato il coraggio di scrivere,
all'Acquario, che mi ha donato la fantasia.


Come i fiocchi di neve

Le era sempre piaciuto l'inverno, forse perché era nata in una fredda e pungente sera di Febbraio.

Amava la neve. La neve, quando cade, ricopre silenziosamente tutte le nefandezze di questo mondo donando alla vista una parvenza di soffice candore, quasi a voler risanare ogni ferita e ripulire ogni lordura. Ma la neve, fredda e bagnata, può diventare pesante e soffocante, la si può amare in maniera smisurata ma non bisogna mai farsi cogliere impreparati.

Questo Astoria lo sapeva bene.

La giovane guardava il paesaggio della sera invernale, affacciata alla finestra della sua stanza nella villa di famiglia, coi gomiti pigramente poggiati sul davanzale. I suoi larghi occhi verdi, d'un verde cangiante ed indefinito, scrutavano vivaci ed assorti l'esterno nevoso. Era in atto una pesante nevicata, i fiocchi cadevano dal cielo e si rivelavano sotto la flebile luce dei lampioni. Quei cristalli, che ad un occhio disattento potevano sembrare tutti uguali, erano al contrario tutti diversi fra loro, non ne esisteva uno che fosse esattamente identico all'altro, non era questa forse la metafora dell'umanità? La sua mente vagava verso luoghi sconosciuti, nei pensieri più assurdi e disparati; siamo come i fiocchi di neve? Ma questi si adagiano tranquilli al suolo, compiono la loro opera catartica, collaborano coesi, diventano una massa soffice ed indistinta, unita, una cosa sola.

Perché è così difficile essere come i fiocchi di neve?

Domande bizzarre come questa affollavano la mente di Astoria Greengrass, una giovane strega di nobili natali, discendente di una famiglia rispettata. Il sangue puro, le buone maniere, i comportamenti ambigui, cosa avevano fatto di male per ritrovarsi una figlia del genere? Una pecora nera, una ribelle, una spostata...

«Sei un'incosciente, ragazzina! Sei nata per far penare me e tuo padre, non è vero? Cosa diranno di noi gli altri, i nostri pari, non ci pensi? Se non la smetterai con queste tue idee strampalate getterai il disonore sulla nostra famiglia!»

Le parole che sua madre le aveva rivolto qualche anno prima, durante i tempi nefasti della guerra, le ronzavano in testa come un insetto fastidioso. Aveva chinato il capo e chiesto scusa, aveva promesso, non sapeva bene neppure lei cosa. I loro pari? Chi diavolo erano poi i loro pari? Cos'è che non avrebbe dovuto fare mai più? Avere dei dubbi? Chiedere ad alta voce "Perché non possiamo essere come i fiocchi di neve?"

La guerra era passata da due anni ma era impossibile dimenticarne gli orrori, il sangue versato, le vite spezzate, l'odio, il dolore, la morte. Astoria aveva vissuto a malapena quegli orrori, troppo giovane e ostinata per esser messa a conoscenza degli affari di famiglia, troppo dalla parte sbagliata per ottenere la fiducia dei suoi compagni, troppo Purosangue per combattere a favore di una giusta causa. Era stata allontanata assieme ai suoi compagni di casa, estromessa dall'atto decisivo, impossibilitata ad aiutare.
Ma le notizie viaggiano veloci e ormai tutti sapevano, Astoria sapeva. Sapeva della sofferenza, delle ferite che non si rimarginano, delle scelte sbagliate e delle giovani vite sottratte all'affetto dei cari. Il candore freddo della neve avrebbe potuto lenire la consapevolezza di non aver fatto abbastanza? Per un attimo il suo sguardo si rabbuiò, scosse il capo cercando di mandar via questi pensieri, cercò di pensare a qualcos'altro...

...C'era un giardino, un enorme, curato e opulento giardino. Un uomo dai lunghi capelli biondi, quasi bianchi, si rivolse, con algido disprezzo, ad un bambino, altrettanto biondo, che poteva avere all'incirca sette anni, tirò via dalle mani del ragazzino un manico di scopa giocattolo e gli rivolse un gelido e severo sguardo di disapprovazione «Che ti serva di lezione, Draco» furono le parole che uscirono atone dalla bocca dell'uomo, prima di dargli fuoco con un colpo di bacchetta.
Il bambino guardava la sua scopa bruciare con gli occhi che diventavano lucidi, pronti a riempirsi di lacrime «Non ti azzardare a piangere! Gli uomini non piangono... E sparisci immediatamente dalla mia vista!» disse infine l'uomo, voltandosi e ritornando verso il maniero ad intrattenersi coi suoi ospiti.
Il bambino prese ad allontanarsi nella direzione opposta a quella del padre, triste, furente, rassegnato, colpevole. Una figura minuta seguì i suoi passi, addentrandosi nel giardino. Pochi attimi dopo lo raggiunse e gli si sedette a fianco «Non è colpa tua!» disse decisa una voce, dal tono dolce e acuto, come quella di una bambina di cinque anni. Draco si voltò di scatto, colto alla sprovvista da quella presenza inattesa e non richiesta «Che vuoi? Non dovresti stare qui, Astoria! Vattene via! Non voglio prendermi un altra sgridata per colpa tua!» lei lo guardò indispettita e furba allo stesso tempo «Io ho chiesto il permesso di uscire fuori a giocare, per i grandi non sarà un problema... Pensavo di essere d'aiuto, dopo quello che ti è capitato... Tuo padre ti ha detto che non devi piangere, ma non è vero, tu sei solo un bambino, non un uomo, noi bambini piangiamo, capita a volte» Draco troncò bruscamente il discorso della bambina «Tu non sai niente, sei solo una femmina! Non ho bisogno di te e del tuo aiuto, dovresti imparare a farti i fatti tuoi!» nel sentire queste parole, Astoria si alzò e mosse qualche passo lontano da lui «E comunque non è vero! Tu sei antipatico, ma tutti hanno bisogno di qualcuno che li aiuti!» e se ne tornò da dove era venuta.

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