Missing moment

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Il citofono del mio piccolo appartamento suona.

«Rebecca!», urlo dal soggiorno, richiamando l'attenzione di mia figlia pur di non alzarmi dal divano.

Nessuna risposta.

«Il citofono!», ritento, ottenendo lo stesso risultato.

Sbuffo, interrompo il film a cui stavo dedicando il mio pomeriggio libero e, pigramente, faccio leva sulle mie gambe per alzarmi e andare a rispondere.

Fortunatamente è solo il postino: sono in condizioni pietose e, al momento, la mia voglia di dialogare con le persone è inesistente.

«Rebecca!», ritento preoccupato.

Non ottenendo ancora nessuna risposta, a grandi passi mi dirigo verso la sua stanza. La porta è chiusa.

«Rebecca?», domando cautamente, entrando.

La stanza è avvolta nel buio e riesco sentire della musica. Sono sicuro che Rebecca la stia ascoltando sotto le coperte con le cuffie a tutte volume.

Faccio un passo avanti per chiudermi la porta alle spalle, dirigendomi verso il letto usando il mio cellulare come torcia.

Quando sente il peso del mio corpo inclinare lievemente il materasso, lei si decide a scostare le coperte dal suo viso.

«Cosa è successo?», chiedo a bruciapelo una volta che non sento più la musica dalle sue cuffiette e notando, sempre grazie alla luce del mio telefono, il trucco colato sulle guance.

«Niente.», mormora con la voce rauca per il pianto.

«Non ho appena interrotto "Alla ricerca di Dori" per sentirmi dire un niente.», borbotto fingendomi infastidito, bloccando il mio cellulare e rimettendolo in tasca.

La sento sbuffare una risata. «Hai trent'anni.», mi rimprovera e, con mio gran piacere, riconosco la nota divertita nella sua voce.

«Non vuol dire niente.», ribatto fingendomi offeso.

«Non dovresti leggere libri acculturati o, che ne so, stare dietro una scrivania?».

Aggrotto la fronte. «Vuoi un padre così?», la sfido tentando di avere un tono di voce serio.

Sono sicura che abbia appena ruotato gli occhi al cielo.

«No.», ammette e posso percepire dal tono di voce un piccolo sorriso.

«E poi ho un bel ricordo di quel cartone.», continuo pensieroso e, finalmente, la sento ridacchiare brevemente.

«Penso sia stata uno dei migliori momenti della mia infanzia.», sospira lei e riesco a sentire dal leggere cigolio del letto e dalle coperte scostate, che si sia messa a sedere.

La lampadina sul comodino, accanto al suo letto, si accende, illuminando i nostri visi. Ora posso notare con più facilità tutto il mascara colato sotto gli occhi gonfi.

Aggrotto la fronte un po' perplesso dalla sua sua confessione. Insomma, in quel periodo non ero proprio entusiasta all'idea di avere una bambina (anche troppo sveglia) in giro per casa.

Lei capta la mia perplessità e si stringe nelle spalle.

«Sapevo che, se non mi avessi davvero voluta, non mi avresti mai accompagnato al cinema, assecondando ogni mio capriccio.», dice asciugandosi il trucco sotto gli occhi con i palmi delle mani. «Avresti messo in secondo piano i rimproveri dei tuoi amici e avresti continuato per la tua strada.», si ferma per prendere un profondo respiro.

Daddy // OS Ashton Irwin Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora