Prologo: Buio.

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Aprí gli occhi e poi li richiuse.
Il buio era cosí fitto che, nonostante i suoi sensi sviluppati, non riusciva a mettere a fuoco che pochi, insignificanti, particolari.

Tastò con una mano il pavimento sul quale era sdraiato: era di pietra, freddo e umido, cosí come le pareti anguste ruvide.

Un fetore intenso gli feriva le narici, l'odore di muffa suppurava nei polmoni, come un'infezione tossica, e il respiro diveniva sempre piú corto per la poca aria irrespirabile che gli infiammava la gola.

Non riusciva a capire dove potesse trovarsi: in una cella, nella segreta di un castello medievale, nell'antro di una caverna o anche in una scatola ermaticamente chiusa.

Nè sapeva da quanto vi fosse rinchiuso, sfiorò con il palmo della mano il mento e le guance e sentí che erano ispide di una barba non troppo lunga, segno che fossero passati almeno un paio di giorni.

Deglutí a fatica un grumo di saliva a terra, ma quando il groppo attraversò la trachea, un dolore lancinante gli scosse il petto.

Un colpo di tosse violentissimo gli fece sputare sangue, come se una ferita aperta gli avesse squarciato gli organi interni.

Tossí e sputò ancora, finchè il dolore non divenne bruciore, una fiamma lenta e costante che lo costrinse a rannicchiarsi, portando le ginocchia al petto, come un bambino del grembo della madre.

Cercò di ricordare, immagini fumose e disordinate gli invasero la mente, fino a che, per lo sforzo, le tempie cominciarono a pulsare, con lo stesso ritmo forsennato del cuore.

Improvvisamente tutto si spense.
Anche la sua mente.
Persino il dolore.

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Trattene ancora il fiato per qualche metro, prima di fermarsi e respirare.

L'aria del crepuscolo era afosa; si appiccicava alla pelle trapassando la trama degli abiti, come il salmastro del mare che rimane addosso fra i capelli e li rende inestricabili.

La canotta nera si era incollata alla schiena, gli jeans alle cosce, che sfregavano da ore sulle palle, e i palmi delle mani erano impiastricciati di sudore e terra, come quando da bambino impastava la rena fine con l'acqua di mare per costruire torri e castelli che, immancabilmente, le onde si portavano via.

Di nuovo l'immagine del suo ultimo match varcò i confini dei suoi pensieri, procurandogli un sorriso ambiguo, oscillante di nostalgia.

Si guardò intorno: ovunque era deserdo e isolato; alle sue spalle, gli ultimi sprazzi secchi di primavera svettavano verso un cielo terso di Las Veags, scintillante delle prime stelle e, davanti, verso ovest, il sole, si scioglieva nel liquido ardente dei suoi ultimi bagliori.

- Dal momento che, secondo i miei calcoli, dovremmo rivederci tra meno di una settimana esatta ... arrivederci, Jonathan! - gli ricordò una delle guardie di turno, nessun risentimento nella voce, solo un eco di divertimento nell' essere consapevole di non trovarsi nel torto.

Anche Jon sorrise contagiato, ma senza un velo di gioia; riprese a camminare e, quando gli fu di schiena, lo provocò: - Dì la verità, Mick, infondo mi hai sempre voluto bene! -

- Non tirare troppo la corda, ragazzo. - Replicò l'uomo e, divenendo improvvisamente serio, aggiunse: - Dovresti darti una regolata, se non vuoi svegliarti ogni mattina al gabbio. -

- Fanculo ... - Jon scrollò le spalle, come se non fosse realmente un suo problema e, voltandosi, tornò verso casa.

La porta era spalancata, come l'ultima volta che aveva messo piede nel suo appartamento, ma ora non era più tutto al proprio posto, com'era prima che la normalità del suo mondo esplodesse. Il dopo-sbornia della sera precedente cominciava a far sentire i suoi effetti. Le ore erano passate lente, ma la nottata in cella lo aveva spiazzato ...

Come diavolo ci era finito?

Una lite, una rissa o forse un furto?

Ora che ci pensava bene, neanche lo ricordava.

E poi, dopotutto, a chi importava?

Tanto ci sarebbe ritornato ancora. E ancora.

Nausea, i pensieri rallentati, smorfie grottesce, goffi tentativi di simulare sobrietà: tutto troppo familiare. Jon aveva imparato a conviverci con quelle sensazioni.

Chiuse con un calcio la porta sgangherata di casa, e lo squittio di un topo gli squarciò i timpani assuefatti al silenzio, i respiri ansanti e affannosi che gli opprimevano il petto si adeguarono a un gocciolio continuo, come un rubinetto che perdeva. Gli occhi erano gonfi e tumefatti, e si aprivano in piccole fessure che cercavano uno spiraglio di luce per orientarsi. Ma il buio era padrone assoluto, come la sua mente.

Qualunque cosa gli fosse successa, la forza dell'animale rinchiuso dentro di sè avrebbe dovuto già soccorrerlo, invece i sensi, i muscoli, le ossa e persino il cervello facevano fatica a divincolarsi dalla morsa di dolore che lo fece accasciare contro il muro scrostato, alle sue spalle.

- Come ha fatto a ridursi così? - sentì chiedere, nella semicoscienza che lo accompagnava da ore.

La voce era maschile, affettata, falsa e composta, come recitata; graffiava come le unghie che stridono sulla lavagna.

- Un certo John Zandig ... - rispose un'altra, stavolta femminile e dolcissima, ma con una punta feroce e assassina. - Un altro di CZW, a quanto pare ... - aggiunse, - Tre dosi massicce di sedativo, per tenerlo buono. -

- Avrà massimo ventun'anni ... affascinante - constatò l'altro, con una nota meravigliata.

- Come può esserlo un animale! - sentì commentare dalla donna con disgusto, mentre le voci si allontanavano portandosi dietro il fruscio freddo delle vesti.

Raccolse le idee, anche se la sua testa sembrava aprirsi in due alla formulazione dei pensieri. Dunque, non era un dopo-sbornia, doveva essere a causa dei sedativi che non riusciva a stare in piedi, nonostante il calore che precedeva il paesaggio fosse soffocante e lo tenesse in bilico tra le sue due nature.

Finalmente, poteva dare risposta ad almeno una delle domande che gli consumavano il cervello.

Ma tutto il resto era ancora un pantano fetido e incomprensibile: non ricordava come diavolo fosse finito in prigione; non riusciva a comprendere di chi potessero essere quelle voci ... era in un ospedale? In un'infermeria?

Non era riuscito a distinguere alcun odore.

Strizzò gli occhi e strinse i pugni, sentì le vene ingrossarsi per i muscoli fiacchi sottoposti allo sforzo.

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Benvenute!
Spero che l'inizio sia accattivante, tanto da farvi continuare a leggere.
Vi aspetto tutte al primo capitolo.
Un bacio. :)

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⏰ Poslední aktualizace: Aug 06, 2017 ⏰

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