Io non ho un nome

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"Tu? -aveva preso parola l'uomo, accorgendosi finalmente dell'angelo- vieni qui!" sbuffò.

L'angelo si distese accanto a lui, in silenzio. E lasciò che fu lui, anche se con enorme fatica, a presentarsi.

"Lieto di vederti. Mi chiamano il pazzo e tu...Tu chi sei?"

"Io non ho un nome." rispose deluso l'angelo.

"Ah si? È strano non avere un nome." commentò il pazzo.

"Nemmeno tu ce l'hai." gli fece notare l'angelo.

Il pazzo scoppiò a ridere. Così all'improvviso che l'angelo sobbalzò preso alla sprovvista. Poi tutto d'un colpo tornò serio e disse:

"Io ho tanti nomi! In ogni posto in cui ehm... Mi sono trovato, c'era gente che mi chiamava in modo diverso e sono diventato tante cose differenti. Qui, a New Delhi, mi chiamano il pazzo."

"E come ti chiamavano prima?" chiese impaziente l'angelo.

Il pazzo non parlò. Come risposta alla sua domanda gli indicò il cielo.

Dopo alcuni minuti sussurrò:

"Ho tanti nomi quante sono le stelle lassù, vedi? Non le trovi luminose, belle, mag...magiche?"

"Stupende. Ma dimmi almeno qualche nome."

L'angelo non sapeva perché aveva usato il termine "stupende" non sapeva nemmeno cosa volesse dire. L'aveva solo letto in un libro, ma non sapeva in che occasione andasse usato. Anche se con quel signore anche ADORARE poteva sembrare una cosa normale. Cosa che invece era severamente negata all'angelo. Il quale poteva adorare solo Dio, il Trono.

Il pazzo strinse il boccale della birra e ricominciò a bere.
Quando l'ebbe vuotato lo lanciò via. Come un ricordo aspro, da voler dimenticare. E insieme al boccale s'infransero contro le stelle tutti i suoi nomi.
Era stato ovunque.
Era stato poeta, viaggiatore, cantante, chitarrista, poche volte marinaio, spazzino, fioraio, fabbricante di sogni, insegnante, giocatore, filosofo, amico, frate, compagno di sbronza, compagno di giochi, compagno di vita, e alla fine era riuscito ad essere anche un giornalista.
Aveva conosciuto uomini, donne e qualche volta anche Dio.

"Dio?" chiese perplesso l'angelo.

"Dio." rispose con noncuranza il pazzo.

"E com'è?"

" वह बहुत अकेला है -si lasciò sfuggire l'uomo, parlando in indiano, ma riprendendo subito lucidità vedendo l'angelo perplesso- Dio è così solo. Ha bisogno di qualcuno che gli parli. Ogni tanto. Così io pregavo, per questo mi chiamavano il frate."

L'angelo rimase in silenzio.

"Però -continuò il pazzo sforzandosi di trattenere tutta la sua contrarietà- Dio ascolta. L'uomo no. È questo il problema degli uomini. Gli uomini..." e cercò a fatica le parole giuste nella lingua che non era sua e che pure amava.
Perché il pazzo amava tutte le lingue del mondo, amava parlare, ma non riusciva a trovare le parole che cercava. Forse per colpa dell'alcool. Forse per la mancata voglia di pensare. Quindi rimase in silenzio.

Dopo alcuni minuti. Riprese, come se un'illuminazione gli avesse dato la forza di trovare le parole giuste:

"Gli uomini -disse il pazzo indagando il cielo- si lamentano sempre di essere soli. Quando in realtà gli unici che sono veramente soli sono quelli che non sanno stare soli con se stessi. Capisci?"

L'angelo pensando alla demone della foresta
Che era rimasta sola con se stessa, annuì.

Una luce si accese negli occhi annebbiati del pazzo.

"Incredibile. Tu mi capisci! Capisci che la solitudine è stare in una stanza, muto, ad urlare. Capisci che bisogna smettere di urlare, uscire dalla stanza e ascoltare le grida di qualcun altro... Tu l'hai capito! -stava per sorgere il sole e il pazzo aveva un ghigno sul volto- Tu hai capito che l'uomo più vicino a Dio è quello che mette in discussione la propria fede per abbracciarle tutte perché siamo tutti fratelli..."

La domanda sorse spontanea dalle labbra dell'angelo e ruppe il silenzio seguito dalle parole del pazzo:

"Fratelli? Per questo ti chiamavano il frate?"

L'uomo scoppiò in una risata dettata, ancora, dalla birra o forse dall'amarezza del suo cuore:

"Ma lo sai che paese è questo? Ma lo conosci il mondo? L'uomo che si crede il più vicino è in realtà il più lontano! Ah हम भगवान से दूर हैं, अब तक!" esclamò con la sua voce possente, per poi confessare, con voce più bassa, un sussurro: mi chiamavano il frate non perché lo ero, ma perché lo ero stato. Tanto tempo fa ero un marinaio e viaggiavo, ma durante uno di questi viaggi una tempesta sbattè la nave, che s'impennò, contro una roccia. L'albero si spezzò e la nave girandosi su se stessa affondò.
Ma in quell'inferno, mentre aspettavo solo che finiva, una sirena mi salvò. Aveva capelli trasparenti come il vetro e gli occhi più viola di un fiore avvilito, un po'...Un po' come i tuoi.
Lei mi ha portato in superficie. Ma poi gli uomini ci hanno divisi, gli uomini... Impediscono di amare perfino i propri sogni! E l'amore a cosa non spinge i cuori mortali!
Ma sai quante volte io vorrei tornare da lei? E la vorrei abbracciare come si abbracciano i sogni quando ci si sveglia la mattina e li si ritrova sul cuscino. L'abbraccerei per paura che anche lei sia un sogno e se ne scivoli via."

Prese una breve pausa e poi riprese:

"Caro amico. Ho viaggiato tanto nella mia vita e ora che ho smesso ti dirò un segreto. Libertà non è vagare senza meta, ma avere una casa in cui tornare. La libertà non si trova fuggendo. La libertà va cercata in noi stessi. E io ce l'ho la mia casa. È lei: la mia sirena dagli occhi viola. Ma non ho la forza di tornare. E anche se tornassi mi direbbero ancora che lei non è mai esistita. Quindi se qualcuno ti ha detto che 'lei' è la tua casa, non lasciarla mai: Torna da lei."

Il sole mandava il suo primo raggio sui loro visi.
Il pazzo si alzò. Mentre l'angelo era immerso nei suoi pensieri.
L'uomo fuggì, ancora una volta.
L'angelo si guardò intorno.
Il sole era sorto.
E il pazzo non c'era più.

IT'S OKAY, I'M DIFFERENT (IN REVISIONE)Where stories live. Discover now