Ero una bambina e ora ero una ragazza STRANA

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NEVE'S POV'

La luna.
Un immenso globo luminoso del più chiaro dei colori. Delle più luminose delle luci.
Con i suoi piccoli crateri dava vita ad un nuovo mondo. Diverso da quello della Terra. Diverso da quello che mi ero creata nella mia testa. Diverso da quello che trovavo nei libri.

Ecco era lì che sarei voluta andare!

Perché lì avrei potuto ricominciare da zero. Senza nessuno accanto. Senza nessuno che si preoccupasse per me. Senza una spalla su cui contare. Lo so che era brutto da dire, ma finalmente sarei stata da sola. In mezzo ad un mondo di sconosciuti, con me stessa.
E cosa meglio di così per poter comprendere chi ero diventata?

E fu così che ci trovammo nel posto sbagliato al momento giusto. O forse era il posto giusto al momento sbagliato. Con tutta probabilità era tutto sbagliato. Il posto ed il momento.
Erano sbagliati gli alberi e le strade. Era sbagliato il cielo ed il cemento.
Eri sbagliato tu.
Ero sbagliata io.
Sbagliammo il primo bacio e anche l'ultimo. Il primo appuntamento. La prima carezza.
Fu sbagliato dirti ti amo.
Fu sbagliato dirti ti odio, che in realtà non ti dissi mai, ma lo pensai. Sbagliando.
Però sbagliò anche la luna ad essere piena quella notte e ad illuminarti il viso.
Sbagliarono i tuoi occhi, che da verdi. Con un battito di ciglia, diventarono viola.
Sbagliarono gli abbracci, quelli dati, quelli non dati. Quelli non chiesti, quelli sperati.
E fu così che ci perdemmo: il sole sorse a ovest. I cavalli diventarono unicorni. Le modelle si abbuffarono di dolci. I tassisti offrirono un giro gratis a tutti. Ed io scappai via dalla tua morsa.

In fondo non ero altro che una ragazza strana.

Perché strana?
Per attirare l'attenzione, ovviamente.
E invece, non era per quello.

Ora vi racconterò quando ho cominciato a definirmi strana.

Una stella.
Tutto iniziò quella notte quando in cielo c'era solo una stella.
Avevo all'incirca cinque anni e stavo camminando in mezzo alla strada, com'era mio solito fare.
Quando una farfalla dalle ali d'oro e il corpo d'argento mi svolazzò davanti agli occhi. Era così graziosa e fragile che feci fatica a non seguirla. Continuando per la mia strada.
Ma poi un'altra farfallina mi apparve davanti. Offuscandomi la vista pochi secondi, prima di appoggiarsi sul mio nasino.
A quel punto non resistetti. Persa dalla meraviglia delle loro ali piene di colori, mi misi a correre come una pazza dietro a quelle creaturine.
Mi fermai solo quando le gambe cominciarono a non reggermi più. Ma mentre ero ferma un'aria fredda, anche se era piena estate, mi colpii il viso.
Poi un'ombra e un'altra, ma io non gli diedi retta.
E quei meravigliosi colori ipnotizzabili mi spronarono ad andare avanti.
Così anche se con le gambe a pezzi ripresi a correre come se avessi dovuto vincere una gara d'atletica.
Anche se l'unica cosa che avevo da sempre odiato era correre e tutto ciò che ne conseguiva. La fronte imperlata di sudore. La sensazione bruciante degli arti inferiori pronti a cedere ad ogni falcata. La gola secca che reclamava il bisogno di acqua fresca. Il volto arrossato dallo sforzo.
Avevo sempre odiato correre e in quel preciso momento provavo un odio estremo e selvaggio.
Perché stavo correndo ormai da dieci minuti con indosso dei jeans chiari, un felpone di tre taglie più grosso della mia e delle vans, sulla spiaggia.
E tutto questo non calmava il mio malessere e le percentuali di inciampare. Dato che diciamocelo la fortuna non era mai stata dalla mia parte.
Ne ero certa al novantanove virgola nove percento.
Ciò che stavo vivendo non era frutto della mia mente.
Non era un incubo fabbricato durante un sonno irrequieto.
Era reale, era tutto dannatamente reale.
Era reale il freddo penetrante nelle ossa. Il sapore metallico del sangue in bocca. La confusione e la paura sulla mia pelle tremante. Mentre l'adrenalina scorreva nelle mie vene spronandomi a muovermi.
Non avevo alcuna scelta. Alcuna certezza. Nessuna via di salvezza.
Non dopo quell'immagine.
Un paio di immense, candide, ali. E un corpo esile riflesso dalla luce della Luna. Ed infine due occhi viola che mi scrutavano curiosi.

Dovevo correre.
Fuggire senza mai voltarmi.
Dovevo abbandonare tutto.
Dovevo dimenticarmi di quella "visione" per sempre.
Dovevo solo imparare come fare.
Dovevo sapere.

Ero una bambina. E ora ero una ragazza, STRANA, sì strana.
Quella che, in mezzo agli amici, faceva la stupida e rideva per tutto.
Quella che preferiva piangere in camera da sola e non davanti a tutti.
Quella con i momenti di pazzia e quelli paranoici.
Quella che dava un senso ad ogni braccialetto che aveva al polso.
Quella che preferiva scattare la fotografia e non esserci.
Quella che conservava tutto.
Quella che perdeva ogni cosa: chiavi, cuffie, pullman, persone, rispetto, fiducia.
Quella che chiedeva "scusa" anche quando non aveva fatto niente.
Quella che viveva ogni singolo luogo o libro.
Quella che immaginava ciò che desiderava al suo fianco, ovunque.
Quella disordinata.
Quella dai pensieri complicati, che quasi nessuno comprendeva.
Quella che amava gli abbracci più dei baci.
Quella che adorava scrivere e non andare in discoteca.
Quella a cui per essere felice serviva solo il sorriso di chi amava.
Quella che non cercava le persone per non dare fastidio.
Quella che metteva prima gli altri e poi se stessa.
Quella che dava agli altri quello che avrebbe voluto ricevere lei.
Quella che viveva per leggere.

Insomma quella strana.

Un giorno avevo detto a Daniel:

"Io sono strana."

Mi aspettavo una risposta come:

"sisi come no!"

Oppure.

"Non sei strana. Perché dovresti esserlo?"

Invece la sua risposta tutt'al più mi colse alla sprovvista.

"Ed è una cosa bellissima." mi aveva detto con tono dolce e comprensivo.

Se ci penso adesso. Mi viene ancora la pelle d'oca.

IT'S OKAY, I'M DIFFERENT (IN REVISIONE)Where stories live. Discover now