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La sveglia continua a suonare con quel bip insopportabile.
Mi rigiro nel mio letto tra le lenzuola calde e accoglienti. Allungo il braccio quel tanto che basta per raggiungere il comodino, dove è poggiato il cellulare sotto carica, spengo la sveglia e ritorno nella mia posizione fetale accoccolandomi meglio tra le coperte.
Trascorrono altri dieci minuti prima che la seconda sveglia torni a spaccarmi i timpani. Questa volta il suono è più prolungato perché cerco di uscire da quel groviglio di coperte e capelli per alzarmi, spegnere la sveglia e raggiungere il bagno.
In bagno attacco la spina dello scaldino e mi posiziono qualche secondo davanti alla ventola che emana aria calda. Lascio che la stanza si riscaldi e nel frattempo mi dirigo verso l'armadio di camera mia, per scegliere un paio di vestiti da mettere.
La mia scuola non impone una divisa. Effettivamente non impone nemmeno regole rigide sugli abiti da indossare.
Afferro un paio di jeans e una maglietta rossa di cotone pesante con lo scollo a barca.
Rientro nel bagno, che ormai è caldo quanto basta, per lavarmi e vestirmi e perciò spengo lo scaldino. Dopo quindici minuti, trascorsi lì dentro a prepararmi, sono pronta.
"Cassie?!" sento urlare mia madre dalle scale. Mi affaccio alla ringhiera e le urlo di rimando: " sono quasi pronta, il tempo di prendere lo zaino e scendo."
"D'accordo. Ma farai tardi per la colazione se vuoi prendere il pullman..." risponde lei, con la solita voce da rimprovero.
Non ribatto nulla e mi affretto verso la mia camera. Prima di uscire prendo anche un paio di calzini neri e li infilo, sedendomi sul letto sfatto. Mi metto lo zaino nero in spalla e comincio a scendere le scale con passo urgente.
Afferro le converse con il motivo della bandiera americana, le solite, e mi dirigo verso la cucina dove mia mamma è intenta a preparare un caffè.
"Mamma" richiamo la sua attenzione mentre mi siedo per infilarmi le scarpe.
"Faccio colazione con Jenna al bar vicino scuola, ha detto di dovermi mostrare una cosa." Dico mentre allaccio anche la scarpa sinistra.
Annuisce distrattamente poi, con un tono un po' assente dice: "sei tornata più tardi del solito ieri sera.."
"Ho preferito lasciarti dormire, pensavo fossi stanca e ho spento io la televisione per te." Sapevo che in un modo un po' assurdo dovevo delle scuse a mia madre, ma avevo dieci minuti prima che il pullman passasse e mi servivano due minuti di cammino per raggiungere la fermata.
"Mamma, so che ti sembrerà una scusa solo per non discutere di nuovo per poter risolvere la situazione" comincio il discorso prima che lei possa ribattere.
"ma tanto finisce sempre che.. in realtà non finisce mai. Stiamo sempre qui a discutere. Io non tocco metà della mia colazione e il tuo caffè si raffredda. Quindi, per questa mattina passiamo alla fase finale. La fase in cui io ti chiedo scusa e tu mi lasci un bacio frettoloso sulla guancia." Concludo il discorso e so che, anche se mia madre mi da le spalle, mi sta ascoltando.
Adesso avrò si e no sette minuti e non voglio uscire di casa sapendo che mia mamma rimarrà con il muso per il resto della giornata.
Mi avvicino a lei e le circondo la vita in un abbraccio. "Mi dispiace, solo spero un giorno riuscirai a lasciare il passato al suo posto. Voglio farlo anche io. Ci proveremo, mamma."
Si volta, mi scosta una ciocca di capelli dal viso sistemandola con cura dietro l'orecchio e mi lascia un bacio sulla guancia. Questo bacio è più naturale. È un bacio da mamma, uno di quelli che non ricordavo più.
Dopo averle sorriso mi incammino di fretta verso la porta. Faccio scivolare lo zaino a terra e indosso il giubbotto di pelle. Mi riposiziono la zavorra di libri sulle spalle ed esco frettolosamente di casa, probabilmente facendo sbattere la porta.
I calcoli non erano ben riusciti e quindi mi ritrovo a correre lungo due isolati per cercare di raggiungere in tempo la fermata. Il peso che sbatte sulla schiena rallenta la mia corsa di molto.
Volevo cercare almeno di prendere un posto a sedere decente, ma ovviamente raggiungo la mia destinazione in ritardo. Trovo una calca che si dimena davanti alle porte di quel pullman giallo e scomodo e l'unica cosa che mi rimane da fare è aspettare che la calca diminuisca per poi salire e rimanere in piedi.
"Jackson" sento urlare da uno dei finestrini. Volto la testa in direzione della voce e mi ritrovo il viso assonnato e sorridente di Adam. Sta affacciato al finestrino e tiene una mano fuori dal piccolo spazio di vetro che consente di fare entrare un po' d'aria.
"Ritardataria stamattina. Fatto tardi ieri sera?!" mi schernisce con la faccia spiaccicata al vetro. Sfoggio un sorriso falso e tirando la mano fuori dalla tasca dei miei jeans gli mostro il dito medio, mandandolo silenziosamente a quel paese.
"Dai Jackson. Non fare la stronza-acida di prima mattina. Sbrigati a salire che ti tengo un posto." Detto questo lo vedo rigirarsi verso l'altro lato e scuotere la testa ad un ragazzo.
"Ti riservo l'onore di farmi compagnia per questi quindici minuti di viaggio!" torna ad urlare verso la mia direzione.
"Johnson. Se non fossi talmente disperata farei volentieri a meno della tua compagnia, ma non ho voglia di stare in piedi e sbattere addosso a qualcuno ad ogni frenata che quello lì farà!" mi fermo per indicare l'autista che sta facendo i biglietti ai ragazzi, a mano a mano che salgono. Mi accorgo che la calca è diminuita e che ora dovrei riuscire a salire.
"Quindi non posso che accettare la tua generosa offerta" concludo rivolgendomi di nuovo verso Adam che è ancora appeso al finestrino. Poi, prendendo il mio abbonamento dalla tasca del giubbotto, mi avvicino allo sportello del pullman.
"Devi fare il biglietto signorina?" mi chiede l'uomo sulla cinquantina al volante. Senza aprire bocca mostro il mio abbonamento con tanto di tessera e l'autista mi rivolge un cenno del capo in segno di assenso.
Adam è nella quarta fila a sinistra e per raggiungere quel posto devo scavalcare almeno tre persone che in mancanza di un sedile vuoto sono rimasti in piedi. Mi tolgo lo zaino, che tenevo sulle spalle, per riuscire a scivolare meglio fino al mio posto.
"Lancia qua! Lo prendo io" mi urla dal suo posto. Capisco che nonostante la mia esile corporatura dovrò sgomitare per arrivare al sedile e quindi, dal punto in cui sono, sollevo lo zaino e lo lancio verso Adam.
Qualcuno abbassa la testa, qualcun altro mi guarda male. Io guardo in direzione di quel ragazzo che ora ha il mio zaino tra le braccia e con sguardo complice cominciamo a ridere.
"La prossima volta potresti lanciarti tu! Scommetto che saresti comunque più leggera di sto coso qua" mi dice mentre mi siedo accanto a lui.
"Ma che ci metti dentro?!" continua a lamentarsi mentre mi ripassa il mio zaino.
"Libri! Che vuoi che ci metta" rispondo con ovvietà mentre lo afferro.
"Grazie smilzo" gli dico e prontamente lui risponde: " di nulla acida!" facendo anche l'occhiolino.
Adam non mi è mai sembrato un tipo muscoloso sotto quelle sue maglie e felpe larghe per questo, le prime volte che mi faceva incazzare chiamandomi acida, io ribattevo chiamandolo smilzo e anche lui metteva il broncio. Col tempo, ci abbiamo fatto l'abitudine e ormai più nessuno dei due si offende.
L'autista dopo nemmeno due metri fa già la prima frenata e i ragazzi in piedi vengono sballottati avanti e indietro. Ringrazio ancora mentalmente la fortuna di aver trovato un posto. Abbasso il poggia braccio lungo il sedile per evitare che durante il viaggio qualcuno si faccia male sbattendoci contro.
Non è che mi preoccupi per il ragazzo che ora sta in piedi affianco a me, ma so quanto è doloroso finire con il fianco o il gomito contro il poggia braccio.
"Qualche giorno ci faranno una multa, almeno si degnassero di guidare con più prudenza!" si lamenta lo stesso ragazzo. Non sta parlando con nessuno in particolare, ma io rispondo lo stesso: " hai ragione, ma non farebbero una cosa sbagliata. Magari riusciremmo anche a fare in modo che la richiesta di nuovi pullman venga accettata." Ovviamente questa città non poteva riservare un servizio ragionevole essendo non solo scomoda, ma anche un posto di merda. Da qualche anno siamo costretti anche a recarci ad un'unica fermata perché fare il giro dei quartieri richiederebbe troppa benzina in più. E a questo proposito dobbiamo anche pagare per lo scarso servizio che ci viene fornito.
Il ragazzo si gira a guardarmi, ma è Adam a rispondermi: " si, credici. Credeteci! Sono anni che ci lamentiamo e nessuno ci ascolta".
"Si, però potremmo raccogliere delle firme, ma evidentemente a voi sta bene così" dico in generale indicando il ragazzo affianco a me.
"Bella, almeno tu sei comodamente seduta. E se proprio vuoi fare una petizione scritta perché non ti decidi prima di qualche incidente?!"
"Perché scusa, tu non sei capace di strappare un foglio, prendere una penna e far firmare tutti i ragazzi?" rispondo alterata.
"Senti ragazzina, non ho ne la voglia ne la forza per litigare" e detto questo si gira di nuovo in avanti.
"Ascoltami! Bella, ragazzina. Non chiamarmi così. Non sei divertente affatto! Anzi sei proprio stronzo" sento Adam accanto a me tremare, mi volto e vedo che sta ridendo, lo fulmino con lo sguardo.
Quando ritorno nella mia posizione mi ritrovo di nuovo quel ragazzo davanti, avrà un carattere di merda, ma è carino. Ha gli occhi verdi e i capelli corti che tendono al riccio e biondi, la sua pelle è così chiara e sul sopracciglio destro risalta un piercing.
"Sai che facciamo, non ti chiamo proprio!" mi dice con un ghigno sprezzante.
"Ma sappi che se scommettessimo perderesti, ragazzina. Io riuscirei a raccogliere più firme!" continua a dire con la stessa espressione stampata sul viso.
"Affare fatto. Vedremo se avrai ancora quella faccia da schiaffi fra..." penso un attimo a quanto tempo potrebbe durare la scommessa, ma i miei pensieri vengono interrotti da una voce alla mia sinistra: " cinque giorni"
"Si, fra cinque giorni" rispondo ritornando con lo sguardo sul ragazzo, le cui labbra non hanno mollato per un secondo quel ghigno.
"Ci sto!" mi porge la mano e con fermezza gliela stringo guardandolo negli occhi.
Il pullman subisce un'altra brusca frenata e con la mano ancora stretta alla mia, il ragazzo mi strattona e la mia testa finisce per sbattere contro il sedile davanti.
Si stacca subito da me senza nemmeno chiedere scusa e ridendo scende dal pullman.
Appena scorgo uno spazio vuoto esco, afferrando il mio zaino, con Adam al mio seguito.
"Jackson sei sicura di riuscire a farcela in cinque giorni?" mi sussurra da dietro mentre scendiamo dal pullman.
"Sei stato tu a suggerirmelo, Johnson, ma poi credo che nemmeno si applicherà più di tanto quello lì.."
"Cassie scherzi?! Hai appena scommesso con Will, quello non molla mai." Mi volto a guardarlo e mi accorgo che la mia bocca è spalancata.
"stiamo parlando di William Davis? Cioè di Will? Capitano della squadra di basket, lo stesso Will che non ha mai perso una scommessa?!" dico con voce allarmata.
Will Davis è conosciuto da tutti, anche se in molti non l'hanno mai visto in faccia. Io ne sono un esempio. Non frequenta molto le lezioni, è un figlio di papà e per questo pensa di potersi permettere tutto. L'unica cosa che gli piace davvero è il basket e a meno che tu non segua le sue partite potresti non vederlo mai, ma il suo nome è comunque sulla bocca di tutti.
Mi chiedo come mai non venga a scuola con il suo suv nero, invece di prendere il pullman.
"Jackson sei proprio fuori dal mondo!" richiama la mia attenzione Adam.
"Cosa dovrei sapere?!"
"Il papà di Will è venuto a sapere del comportamento malsano del figlio e così l'ha messo alle strette. Gli ha tolto l'auto, l'ha costretto ha fare un abbonamento e ora è circa un mese che prende il pullman. Infine, è costretto a frequentare le lezioni regolarmente perché, la scuola ogni venerdì, invia un registro al padre con le presenze del figlio."
Si sono fuori dal modo e sono anche fottuta. Ma poi ripenso che non abbiamo accordato nulla. Nessun compromesso da scontare nel caso perdessi io.
"So a cosa stai pensando" mi dice Adam distogliendomi dai miei pensieri.
"Will preferisce conoscere a fondo le proprie vittime."Lo guardo perplessa, non capisco che cosa sta cercando di dirmi. Lui sembra notare il mio sguardo perso, infatti, continua a parlare: "avrai la tua pena da scontare, solo che lo deciderà a scommessa vinta".
"Cazzo Adam! Questa è anche colpa tua, potevi dirmelo invece di incitarmi!" mi metto ad urlargli contro: "sei uno stronzo Johnson e io sono in ritardo..." detto questo mi dirigo verso il bar di fronte alla scuola.
Jenna mi starà aspettando da almeno dieci minuti. Lei a scuola ci viene con la sua auto. Ogni tanto le scrocco qualche passaggio, ma abitiamo troppo distanti.
Spingo la porta di vetro ed entro nel bar.
Jenna è seduta ad un tavolino tutta sola con una tazza tra le mani. Mi saluta da lontano e mi incammino verso di lei. I suoi capelli biondi sono coperti dal cappuccio della felpa, le unghie, come al solito, con lo smalto tutto mangiucchiato e i suoi occhi marroni sono contornati dalla matita nera un po' sbavata.
"Alla buon ora!" mi dice, le rispondo con un cenno della mano e nel frattempo la cameriera si è avvicinata a me. Ordino un caffè amaro e dopo pochi minuti anche io sono con una tazzina fumante tra le mani.
"Allora?! Come mai questa faccia? Brutta giornata? Cassie guarda che ancora non sono nemmeno le otto del mattino, non puoi ridurti col muso lungo già a quest'ora" accenna la mia amica.
"Lasciamo perdere Jenna. Piuttosto che cosa dovevi mostrarmi?!" Lascio cadere così la conversazione, non volendo ripensare a ciò che era successo poco prima.
Poggio la tazzina ormai vuota sul piattino e vedo Jenna lasciare qualche moneta sul tavolo. Lei lo fa spesso, non si preoccupa di lasciare qualche soldo in più. Si affretta ad alzarsi e mi prende per mano trascinandomi fuori da bar. Prima di uscire indica i soldi alla cameriera e quella ci rivolge un sorriso a mo' di saluto.
Alle otto e cinque dobbiamo essere dentro la scuola e vedo che il mio cellulare segna le otto e un minuto perciò ci dirigiamo nel cortile. Jenna mi tiene sempre il braccio stretto e mi trascina fino al solito gradino facendomi sedere.
"Pronta?" mi chiede con un sorriso enorme. Io annuisco un po' titubante e lei tira giù il cappuccio dalla sua testa.
Oggi è proprio una giornata del cazzo... penso tra me e me rimanendo con la bocca aperta per la seconda volta in una giornata.
I capelli biondi e lunghi di Jenna non sono più esattamente lunghi. La parte sinistra della sua testa è completamente rasata, mentre sull'altro lato i suoi capelli ricadono lisci lungo la spalla, ma sulle punte ogni tanto si nota un riflesso blu acceso.
La mia amica fa un giro su se stessa e osservo meglio il suo nuovo taglio. Non posso credere che abbia fatto una pazzia del genere di sua spontanea volontà, infatti, dalla bocca mi sfugge un : "hai perso una scommessa per caso?!". Non riesco mai a trattenere le parole e tra l'altro non riuscivo a non pensare alla mia condanna a morte con Will Davis.
"Vaffanculo Cassie!"si infuria la ragazza di fronte a me. Si riporta di nuovo il cappello sulla testa e voltandosi si allontana da me.
"Jenna dai, stai bene. Mi hai colto solo alla sprovvista!" mi alzo in piedi per seguirla e appena la raggiungo, afferrando il suo zaino, la strattono da dietro.
"Non sei per niente convincente. Non sei brava a mentire Cassie."
"Ma non sto mentendo!" mi difendo incrociando le braccia al petto: " lo sai quanto mi spaventino i cambiamenti. Non sono abituata. Non saprò mentire, ma questa volta sono sincera."
Jenna finalmente si volta e il broncio lascia spazio ad uno dei suoi sorrisi più spontanei e solari. L'abbraccio velocemente. Il suono della campanella ci avvisa che è ora di raggiungere le nostre classi e con la mia amica di fianco ci dirigiamo verso l'entrata.
"Ci vediamo alla seconda ora?" mi chiede Jenna che continua a stare al mio fianco.
"Si con matematica" le ricordo e vedo comparire una smorfia sul suo viso , che mi fa scappare un sorriso.
Neanche a me piace la matematica, ma è una dei corsi obbligatori da seguire e quindi almeno fisicamente devo essere presente.
"Io vado, il mondo animale mi aspetta e la biologia non può certo attendere!" Mi saluta velocemente strappandomi un altro sorriso.
A passo svelto mi dirigo verso la classe di letteratura.
Mrs Evans non tollera i ritardi, infatti, è sempre meglio arrivare in anticipo alle sue lezioni. Adoro la letteratura, ma la mia insegnate è molto severa. Tuttavia non posso lamentarmi riguardo all'insegnamento che mi viene impartito.
Appena entro in classe mi accorgo che non tutti sono ancora presenti e sfrutto la situazione per prendere posto fra gli ultimi banchi.
Mrs Evans entra in classe pochi istanti dopo e lascia cadere sulla cattedra la sua borsa marrone. Come al solito, senza salutare nessuno, fa un veloce appello.
"Spero siate tutti presenti, se qualcuno di voi è in ritardo sapete già che quella è la porta che non userete per entrare in questa classe." Con queste parole, ormai memorizzate da tutti, la signorina Evans detta il proprio regime di rigido rispetto e a modo proprio stabilisce le presenze durante l'ora.
Detto questo si avvicina alla lavagna e con un gesso rosso inizia a tracciare linee sulla superficie. Dopo aver finito si discosta di poco per lasciarci leggere ciò che ha scritto:

un patto di eterna amiciziaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora