Capitolo 1

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Non credevo che il vuoto fosse così: una distesa infinita di bianco dal silenzio raccapricciante. Eppure sento che esisto e sono solo in mezzo a questo nulla, in attesa di qualcosa...

Un'ombra inizia ad agitarsi e diventa sempre più scura man mano che si avvicina. Resto immobile. Improvvisamente davanti a me compare una donna bellissima: i lisci capelli corvini tirati indietro le scivolano oltre le spalle e il corpo snello è coperto da un lungo vestito bianco, che le lascia nude le braccia esili dalla pelle abbronzata, mentre sul viso magrissimo risplendono due sottili occhi neri.

Mamma.

Sorride: un sorriso rassicurante.Poi le palpebre si piegano insieme alle sue labbra. Lacrime insistenti solcano le guance scavate e una supplica disperata sorge nel suo sguardo. Mamma? Odio vederla così e vorrei correre da lei, abbracciarla, consolarla in tutti i modi possibili... ma non riesco a muovermi.

I singhiozzi di mia madre diventano più forti. La guardo terrorizzato senza capire cosa fare, la testa piena solo dei suoi pianti. Mamma! provo a urlare, però la bocca è secca e non ho più la voce. Ci provo, ci riprovo, niente. Sforzo la gola il più possibile per gridare, gridare come mai in vita mia. Resto con le labbra spalancate per qualche secondo, o almeno credo siano spalancate. Nulla.

I singhiozzi diventano urla strazianti che mi torturano fino a farmi a pezzi. Provo a ignorarle, ma il mio tentativo sembra non contare: le grida sono le stesse, con la medesima intensità. Vorrei poter chiudere gli occhi, così da non vedere l'orrore di fronte a me.

Le strilla cominciano a strozzarsi. Dalla bocca di mia madre escono fiotti di sangue e le sue mani stringono una macchia scarlatta all'altezza dello stomaco. Cade in ginocchio, il vestito si copre di chiazze rossastre e sotto di lei una pozza scura si allarga sempre più velocemente.

Mi fissa per secondi che paiono secoli. Calde lacrime mi attraversano le guance, come se fossero le uniche cose concrete in questo vuoto. Dovrei singhiozzare anch'io in questo momento, ma le labbra continuano a tremare senza alcun rumore. Mia madre crolla a terra con un tonfo.


È sporca di rosso, i capelli le coprono il viso e la pelle pallida. Le lacrime diventano più intense. Urlo invano il suo nome, finché quei miei singhiozzi muti non cominciano a mozzarmi il fiato. Sento le mani bagnarsi di qualcosa di caldo e la testa si abbassa in automatico: sangue. In una stringo un pugnale, non so come e da dove sia uscito, intriso dello stesso liquido che mi tinge le dita. E – cosa peggiore – quest'arma sembra darmi una sicurezza immensa quanto spaventosa. La lascio cadere e precipito in ginocchio, non sapendo più dove voltarmi e una paura folle che mi riempie il petto.

Di colpo nella mia mente compaiono due grandi occhi dalle iridi rosso sangue che mi fissano minacciosi, accusatori. Dura solo per un secondo, poi il buio.

«Nooo!»

Mi sveglio di soprassalto. Davanti a me il muro bianco della stanza è illuminato dalla luce del sole. Un vento leggero comincia a sferzarmi il petto: a quanto pare, la finestra è rimasta aperta tutto il tempo. Ancora quell'incubo, lo stesso per quasi nove anni, dopo la morte di mia madre. Ogni notte così. E poi quegli occhi, tanto indescrivibili quanto la paura che provo quando appaiono davanti a me in quel secondo. È come se volessero farmi del male.

Il letto si muove. Al mio fianco dorme una donna – i capelli ricci e biondi spettinati sul viso tondo e roseo dall'aria ancora infantile. Siamo entrambi nudi, lei coperta interamente dal lenzuolo.

Non ricordo nemmeno come si chiama... Beh, non che m'importi.

Fuori dalla finestra il cielo terso illumina i tetti delle case di Roma, facendoli brillare quasi fossero di rame e argento. Riesco a vedere San Pietro da qui: la cupola azzurrina risplende sotto la luce del sole. Il rumore delle macchine, già insistente di prima mattina, sembra confondersi con l'armonia del panorama. Magari potessi vivere qua, di tutti i posti in cui sono stato finora è il

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