Occhi nocciola e mille sfumature.

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Mi svegliai, sbuffai e mi sollevai dal materasso dopo aver stirato i muscoli indolenziti dal sonno. M'infilai la vestaglia per combattere il freddo di febbraio e m'incamminai verso il corridoio. Passando davanti allo specchio dell'armadio mi soffermai a guardare il mio riflesso con occhi tristi, ero la fotocopia esatta di mamma, stessi lineamenti, capelli castani e ricci, occhi verdi come smeraldi.

Le lacrime mi offuscarono la vista al suo ricordo, chiusi gli occhi e pensai a come il cancro me l'avesse portata via senza che potessi fare qualcosa per combattere.

Presi un lungo respiro ed uscii dalla camera, un dolce aroma di muffin mi guidò fino alla cucina, dove papà stava preparando la colazione. Nonostante il lavoro gli occupasse la gran parte del tempo, lui cercava di stare il più possibile vicino a me e mia sorella. Era come un amico al quale poter raccontare tutto, non si arrabbiava quasi mai ed era sempre allegro, nonostante il dolore del lutto lo divorasse ancora. Lui reagiva alla vita e lo faceva per me e per Phobe.

Mi appoggiai alla porta della cucina e lo osservai mentre attendeva che i muffin si cuocessero nel forno. Sentendosi osservato, si girò nella mia direzione.

«Buongiorno splendore.» esordì sorridendo.

Sorrisi di rimando.

«Buongiorno papà.» dissi lasciandogli un bacio leggero sulla guancia prima di sedermi sul divano.

«Piccina, la colazione è pronta ma io devo scappare in ufficio.» sentenziò lui lasciandomi un bacio sulla fronte.

«Fate le brave e salutami tua sorella appena si sveglia, ti voglio bene.» aggiunse uscendo veloce di casa.

Sentii la porta sbattere e soffiai un "Ti voglio bene anch'io".

Andai al piano superiore per infilarmi una tuta, presi telefono, le chiavi di casa e uscii, lasciando riposare Phobe.

Una folata di vento gelido mi scompigliò i capelli, presi un profondo respiro osservando la pioggia cadere e alzai il cappuccio della giacca.

Sentivo il bisogno di far cessare il turbinio di pensieri nella mia mente e mi ritrovai davanti alla biblioteca comunale, il mio rifugio dove potermi nascondere dai pregiudizi, ritrovare la pace smarrita e sentirmi a casa.

L'odore dei vecchi libri impolverati riusciva a svuotarmi la testa, perciò quando i pensieri diventavano assillanti mi nascondevo tra vecchi scaffali colmi di romanzi antichi e dimenticati da tutti. Pensavo che catapultarmi nel mondo di qualcun altro avrebbe risolto, anche se momentaneamente, i miei problemi.

Entrai in biblioteca e levai il cappuccio, con i capelli umidi e i vestiti gocciolanti percorsi l'ampio atrio. Salutai educatamente l'anziana bibliotecaria dirigendomi nell'angolo più remoto dell'immensa stanza, levai la giacca bagnata sistemandola sul vecchio termosifone ingiallito e feci scorrere le dita sui alcuni libri impolverati.

La mia attenzione fu catturata da un romanzo dalla copertina di cuoio verde. Lo presi e, accasciandomi al suolo, iniziai a leggerlo.

Le righe di quella storia mi entrarono lentamente nel cuore e nel silenzio della stanza i minuti scorsero rapidi senza che me ne rendessi conto.

Il gelo aveva ormai abbandonato il mio corpo, grazie al tepore del riscaldamento. La mia giacca bagnata aveva smesso di gocciolare e stava iniziando ad asciugarsi. Il buio calava sulla città, lasciando che le luci soffuse della biblioteca illuminassero il locale.

La mia attenzione fu interrotta dal rimbombo di passi. Alzai lo sguardo e scorsi un ragazzo alla fine dello scaffale dai capelli castani e con la pelle dorata che si guardava intorno spaesato. Era Adam.

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