Wilkommen in Krakow!

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Le due donne annuirono entrambe all'unisono, continuando a tenere lo sguardo basso. Papà indicò ad entrambe la cucina con la mano, cacciandole malamente.

Esse si dileguarono, richiudendosi la porta alle loro spalle.

«E' proprio necessario trattarle così?» Domandai, guardando la porta della sala da pranzo che veniva chiusa da Olga e Claudia.

«Sono domestiche Annelies, hanno bisogno di fermezza e severità.» Rispose papà, stranamente non lanciandomi la sua solita occhiata ammonitrice.

Scossi la testa, chiudendo lì la conversazione. L'ultima cosa che avrei voluto ottenere era discutere ancora. Ne avevo abbastanza.

La cena finì dopo una buona mezz'ora. Charlotte, io e Friedhelm ci alzammo da tavola e ci dirigemmo verso le rispettive stanze. Papà e Hanna si accomodarono abbracciati sul divano, in soggiorno. Egli accese la radio come di suo solito e sintonizzò la frequenza su Radio Berlino in attesa delle notizie dal fronte.

Noi salimmo silenziosamente le scale sino a raggiungere il piano superiore, dove erano situate le camere da letto. La prima porta a destra era quella di Charlotte e la salutammo entrambi con un timido cenno del capo.

Lei ricambiò, richiudendosi la porta alle sue spalle.

Friedhelm proseguì sino a quando non raggiunse la sua stanza, situata accanto a quella di Charlotte. Prima che avesse potuto afferrare la maniglia in ottone, lo fermai, richiamandolo: «C'è qualcosa che non va, Fried? Forse non hai voglia di trasferirti in Polonia

Lui ricambiò il mio sguardo, scuotendo poi la testa. «Non è quello Anne. Per me è indifferente. Qui o dovunque è la medesima cosa.» Rispose, schivo.

«Sei arrabbiato con me?» Continuai, guardandolo timidamente in viso.

Abbassò lo sguardo, scuotendo ancora il capo. «Perché dovrei essere arrabbiato? Non mi hai fatto niente.»

Mi morsi il labbro, sospirando. 

Non aveva voglia di parlare con me. Era fin troppo chiaro il suo comportamento. 

«Va bene... allora buonanotte.»

«'Notte.» Disse, aprendo la porta della sua camera e scomparendo all'interno di essa.

***

La notte passò altrettanto velocemente; caddi nelle braccia di Morfeo quasi subito. Non ebbi neanche il mio consueto incubo, il che mi consentì di riposare decentemente. Fui svegliata da Olga alle sei del mattino. 

Era una mattinata particolarmente fredda e umida. Era il 13 dicembre del 1942. L'aria frizzantina del primo mattino penetrava fin dentro le ossa, immobilizzando ogni arto. 

Una vocina nella mia testa si rifiutò categoricamente di abbandonare il tepore del piumone.

La scacciai, alzandomi controvoglia dal letto caldo ed accogliente. Sbadigliai più volte ancora mezza addormentata e mi recai in bagno, ritrovando il solito tepore con l'acqua calda.

Mi lavai e mi vestii abbastanza velocemente. Successivamente scesi di sotto a fare colazione, riempiendo il mio stomaco brontolante con una buona brioche e un bicchiere di latte. 

Alcuni minuti dopo mio padre intimò a tutti noi di alzarci. Era arrivato il momento di partire.

Afferrai i miei due bagagli e raggiunsi il corridoio principale. Fortunatamente avevo radunato tutto ciò che mi sarebbe servito in due semplici valigie. Hanna si era portata quasi tutta la casa. Vi erano bagagli di tutte le forme e dimensioni poggiati sul pavimento in attesa di essere trasportati.

Intertwined destiniesWhere stories live. Discover now