Introduzione "Zibaldanza" - Messaggi criptici di un'anima antica

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È difficile sopravvivere ad una realtà alla quale non s'appartiene se non per fato avverso; vi è una tale corruzione a questo mondo che talvolta anche i fiori sembrano sbocciare su alcuni prati per concessione altrui, forzando la natura, violentandone l'indole. Tale pensiero, così sottile eppur così micidiale, a cosa avrebbe potuto condurmi se non ad un'intensa sensazione d'impotenza e frustrazione? Cosa mai avrebbe potuto salvarmi da questa infelice condanna? Credo invero che, in un punto indefinito della mia esistenza, io abbia infastidito qualcuno con quel perenne pensiero, partorito su catena inesauribile, senza aver rispettato il silenzio della notte o il suo necessario riposo; lamentai la mia non appartenenza a questa realtà troppe volte gridandola per poi soffocarla brutalmente. Qualcosa rimase nell'ombra ad assistere a quell'omicidio necessario, recidivo, e forse per pena, forse per giustizia, oppure per sadismo, quel qualcosa, come una maga delle fiabe orrende, mi offrì un elisir che potesse lenirmi le convulsioni; nera medicina dentro ad un calamaio. Divenni gioco senza giocatori, arena senza torero, corpo senza mente. Quell'essenza mi prescrisse la cura senza voler nulla in cambio eccetto la mia vita. Il prezzo da pagare fu di render la mia esistenza teatro di storie altrui, di racconti che necessitarono di mangiar dalle mie membra e fui consapevole di non esser stata mai realmente me stessa prima di stringere quel patto diabolico con quell'essenza "ammaliante". L'arte divenne quindi la medicina emotiva ch'io cominciai ad assumere giornalmente per tentare di sopravvivere a quel travaglio perpetuo. Non mi fu spiegato però che non è concesso al mortale di scendere a compromessi con i demoni dell'arte; essi parlano improvvisamente, recitando violentemente, senza curarsi della realtà, strattonandoti senza premura. L'inchiostro della mia penna fu miscuglio di tenebre; quei fantasmi guidarono la mano che dispotica comandò le lettere, come cadetti alla guerra che trasformarono il mio foglio in un campo di battaglia, mappa di terre lontane sconosciute ai molti, me compresa. Con nessuno mi fu dato di condividere quel tormento. "Zibaldanza" nasce quindi con il solo intendo di lasciare una testimonianza di quei fatti oscuri, di queste storie che, ancora oggi, perennemente, decidono di fare della mia mente un timido muro sul quale proiettarsi. Questi demoni gareggiano tra di loro per raccontarsi ed in me somatizzo ogni loro turbamento. È un bisbiglio improvviso, una compulsione inarrestabile che parte dal petto, scivola sullo stomaco, si riversa sul foglio gocciolando dalle dita. È una presenza che spaventa se non viene ascoltata, che irrompe nel quotidiano costringendoti a guardare sul volto il bello ed il brutto d'ogni cosa. Quando scrivo entro in uno stato consapevole di irrealtà; è come un formicolio alla testa, un'esaltazione che fa di me il piedistallo rovesciato sul mondo che diviene minuscolo, divorato da sconfinate dimensioni che, se potessero essere visibili ad occhio nudo, farebbero piangere di un pianto continuo ed inesauribile per la sola bellezza di un punto che li compone. È il passaggio segreto che mi permette di ritornare al vero mondo al quale appartengo da sempre io, ospite infelice di questa realtà sporca, senza spessore e passione. Benché abbia narrato di diverse emozioni il dolore è quel tal sentimento che vince su tutto. Esso non teme confronto neppure nella felicità che s'amalgama al suo pianto risultando non effimera, duratura nel tempo e forse per questo vicino alla follia. È il dolore che irrimediabilmente ti sceglie come dimora, cambiandoti il corpo come fosse il mobilio di casa, abbattendo la mente come fosse un muro da ricostruire diversamente.


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⏰ Last updated: Jun 02, 2017 ⏰

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