I

103 3 5
                                    

Risvegliatevi dal sonno infinito, vi prego... non voglio vedervi solo, disteso sul vostro letto... aprite i vostri occhi e alzatevi dal letto... camminate leggiadro... voglio riabbracciarvi, voglio stringervi tra le mie braccia, soprattutto in primavera, quando sbocciano gli amori come i fiori... vi voglio vedere come in quelle sere in cui eravate tra il mio pubblico, in prima fila a godervi i concerti... e poi vi ritrovavo nei camerini ad aspettarmi per passare del tempo assieme.

Ricordo il giorno in cui ci eravamo
conosciuti.

Ero ancora un ragazzino che suonava il violino per passione in mezzo ai campi di grano e papaveri. Lì, nella distesa, vi era un albero robusto ma poco alto. Sopra a ciò, voi scrivevate poesie sui paesaggi che circondavano il vostro corpo.
Un giorno soffiava una brezza piacevole, tipica dell'estate. Voi eravate, come al solito, seduto con le gambe a penzoloni sopra il vostro albero e il venticello vi fece librare i vostri fogli scarabocchiati. Dunque saltaste giù dalla pianta e correste dietro ai pezzi di carta per recuperarli, ma piombaste contro di me mentre destreggiavo con il mio strumento. Cadeste a terra senza un lamento e vi accorgeste in un solo momento che mi trascinaste sopra il suolo con voi. Vi scusaste appena ci rialzammo, vi presentaste:-Scusatemi se vi ho fatto cadere e se vi stavo per spezzare il vostro violino. È colpa della mia mente che è stata coinvolta a cercare di riappropriarsi dei fogli volanti. Ormai il vento se n'è impossessato e io non li riavrò più indietro. Che peccato. Ah, comunque io mi chiamo Uri. Come vi chiamate?-.
Inizialmente non volli rispondere alla vostra domanda, ma sapevo che non avreste parlato finché non avreste saputo il mio nome. Perciò ribattei:-Mi chiamo Lex-.
-Quanti anni avete?-
-Quindici.-
-Io diciotto. Perché siete qui da solo?-
-Mi piace questo campo di grano e di papaveri. Voi, invece?-
-Io sono qui perché ho più spazio per stare tranquillo, senza dover sentire le risate continue dei miei fratellini. A casa non riesco a concentrarmi nemmeno un po' per scrivere un poema... ho visto che suonate il violino. Volete venire da me per farmi sentire meglio il suono? La mia villa è nelle vicinanze e s'affaccia quasi al campo. Qualche volta vi ho udito fino alla mia stanza ed era davvero rilassante quando le note prodotte dal vostro violino giungevano le mie orecchie.-
-Siete sicuro che possa entrare nella vostra dimora? Non vorrei disturbare e far arrabbiare i vostri genitori per la mia presenza.-
-Tranquillo, non ho i genitori da molto tempo. Abito da solo con i miei due fratellini e mio nonno paterno. Lui è in viaggio d'affari e i miei fratellini sono andati con lui... in realtà oggi sono qui perché mi sentivo solo e la servitù è occupata con le faccende domestiche. Questo campo mi accoglie come un suo figlio. Il suono che produce il vostro violino m'induce a restare qui. Adesso, vi porgo la mano per rialzarvi da terra e andiamo nella mia villa.-
Non seppi con certezza se fosse il caso di mettere piede nella vostra proprietà, perciò rimasi immobile a ragionare. Voi mi sollevaste con forza e, senza che vi risposi, ci recammo alla vostra abitazione.

Intanto che marciavamo verso la nostra destinazione, in mente mi rimbombava la vostra frase "Mi sento solo". Anch'io mi sentivo e mi sento solo, soprattutto senza di voi.
Ero orfano e allora mi prese in custodia mia zia, sorella di mia madre, ma pure lei morì nell'arco di pochi anni per una malattia sconosciuta. Fui spedito a vivere dal gemello di mio padre e dalla sua famiglia. Non mi trovavo bene durante l'assenza di mio zio poiché i miei parenti mi guardavano con disprezzo. Mio zio era un pianista e mi insegnò proprio lui a suonare il mio strumento. Poi all'improvviso decisi di abbandonarli e fuggire in luoghi distanti da loro. Scappando, finii per scoprire questo campo di grano e papaveri e stanziarmi nelle vicinanze. Una casetta abbandonata, immersa nel campo, con tutto l'occorrente per abitarci, come vestiti, letto e vasca da bagno.

Da quando state dormendo profondamente, mi mancate e mi sento abbandonato. Vi prego, riaprite gli occhi e muovete le mani nel vuoto... fate tutto ciò che potete, anche un segno, qualcosa che mi faccia capire che vi state svegliando.

Dopo pochi minuti, eravamo di fronte ad una costruzione molto particolare, che nella sua differenza, si ergeva stupenda. Appena arrivati, voi mi prendeste per la mano e corremmo fino all'entrata della dimora, nonostante avessi tra le mani lo strumento.
Una volta entrati nella villa attraverso una vetrata che fungeva da porta, mi conduceste in un salone da ballo, dove gli unici ornamenti della stanza erano un pianoforte e un lampadario di cristallo.

Weizen und MohnDove le storie prendono vita. Scoprilo ora