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Il ragazzo dai capelli rossi entrò in casa sua, dopo un pomeriggio di servizio al bar dove lavorava. Appena messo piede in casa, sentì le innumerevoli urla provenire dalla cucina. Sapeva perfettamente di chi erano quelle urla e il perché. Succedeva spesso ormai che, ogni volta che lui tornava a casa, sentiva i suoi genitori litigare per qualunque cosa, anche per una stupidaggine. Sinceramente, lo sapeva pure Michael che quella situazione sarebbe finita male per il matrimonio andato ormai in frantumi, e per sua madre che era troppo debole per reggere altre delusioni o violenze da parte del marito. Così il ragazzo, dopo aver sentito l'ennesimo urlo di sua madre contro suo padre, sbuffò e decise di uscire.

Camminava così tra le strade di quel paese deserto, in tarda notte, da solo. Arrabbiato per quella situazione, e frustrato per non poter far niente per cambiarla. Più volte aveva provato a intromettersi, difendendo sua madre, e l'unico risultato ottenuto era stato un livido vicino l'occhio destro che dovette sopportare per un mese.
Arrivato al parco, anch'esso deserto, si sedette sul muretto che dava sulla strada, mentre si accese una sigaretta. Sbuffava ripetutamente il fumo, finendo la sigaretta in men che non si dica, accendendosene poi un'altra e dopo un'altra ancora. Lo aiutavano a distrarsi e a riempire quel vuoto che aveva in petto, diceva. Si auto-convinceva pure, tanto che spesso fumava più di quanto potrebbe fare una persona normale.

Dall'altra parte della strada buia camminava un ragazzo, vestito di nero dalle scarpe fino al cappuccio sul capo, da cui si riusciva a intravedere solo qualche ciocca bionda sbucare fuori disordinatamente. Le mani in tasca, il respiro caldo che spezzava la omogeneità dell'aria fredda, i passi lenti, come se fossero i piedi a trascinare il corpo, il capo chino, lo facevano sembrare un'ombra invece che un essere umano.
Non riusciva a dormire quella sera, come ormai era di routine che,  almeno una volta alla settimana, soffrisse di insonnia.
Attraversò la strada per tornare a casa, ma non il suo squallido appartamento da quattro soldi, la sua casa, luogo in cui si rifugiava ogni volta che non riusciva a dormire e si tormentava pensando al passato, ogni volta che stava talmente male da sentire il bisogno di avere qualcuno legato a lui da un legame di sangue, in modo quasi viscerale.

Mentre passava sempre a capo chino davanti al muretto, il ragazzo seduto sul muretto, aveva appena finito l'ultima sigaretta del pacchetto, che per fortuna non era interamente pieno. Il tinto, non sentendosi ancora soddisfatto, ne aveva bisogno almeno di un'altra, ma a quell'ora della notte non avrebbe avuto modo di procurarsi un pacchetto. Così, dopo aver sbuffato, scocciato per quello che stava per fare, fermò all'improvviso il ragazzo in nero.
«Hey.» Chiese alzando la voce, sperando che il biondo lo avesse sentito.
Dal canto suo il ragazzo non credeva che stesse realmente parlando con lui, pensò più che parlasse al telefono, così continuò a camminare.
«Hey, dico a te.» Ritentò il tinto, già irritato per la sua situazione con i suoi.
Il biondo si girò, convinto che ormai parlasse con lui, non essendoci altra anima viva in giro.
«Cosa?» Alzò di poco il mento, nella direzione del tinto, rivolgendogli un'espressione annoiata, in quanto non voleva parlare con nessuno, in quel momento.
«Hai una sigaretta per caso?» Chiese il ragazzo non alzandosi dal muretto.
Chiunque l'avesse visto in quelle condizioni avrebbe detto che sembrava essersi fumato qualcosa in più di una semplice sigaretta, ma al biondo ovviamente non importava, come del resto, non gli importava mai di niente da un bel po' di tempo. Così, guardandolo, scosse la testa, liquidandolo con un semplice "Non fumo", continuando poi per la sua strada.
Dopo neanche dieci secondi si udì un forte tuono, seguito da un lampo che fece illuminare il cielo tanto da sembrare che fosse giorno.
Il biondo accelerò il passo, sapendo che da lì a poco si sarebbe messo a piovere, tranquillizzandosi del fatto che stava per arrivare.
Il tinto invece, ci avrebbe messo almeno mezz'ora ad arrivare a casa, e il suo intento quando uscì era quello di non tornare per la notte. Così cominciò a correre senza meta, per quanto gli permettevano i polmoni, superando il biondo, e fregandosene della pioggia che lo aveva ormai inzuppato dalla testa ai piedi, fino a quando non si appoggiò ad una staccionata di legno, accasciandosi a terra tossendo. Probabilmente quelle sigarette gli stavano distruggendo i polmoni, ma lui non aveva niente da perdere, tanto i suoi genitori sarebbero stati troppo occupati a litigare per accorgersi della sua assenza.
Il biondo nel frattempo, che camminava ancora con il cappuccio ormai fradicio in testa, tira fuori le chiavi per entrare in casa, quando, in una villa accanto la sua, vide una sagoma accasciata a terra.
"Porca troia", disse tra se e se, avvicinandosi al ragazzo e facendolo alzare. Odiava la gente in generale, ma era sempre stato più forte di lui; se vedeva qualcuno in difficoltà, doveva aiutarlo, nonostante una parte di lui non volesse minimamente.
«Forza alzati.» Incitò il tinto, mentre lo sollevava tenendolo per il braccio.
In risposta lui, continuò a tossire, non riuscendo a proferire parola.
Entrando in casa, il biondo lo fece accomodare sul divano di pelle nero che c'era in salone.
«Sta' fermo, vado a prendere dell'acqua e un asciugamano.»
Disse il biondo, che dopo poco rientrò nella stanza con un bicchiere d'acqua e glielo porse, rimanendo in piedi, osservandolo, mentre lui si asciugava i capelli.
Quando si accorse che il tinto cessò di tossire e lui ebbe finito di asciugarsi i capelli, gli diede l'asciugamano, andando poi nella sua vecchia stanza a cambiarsi.
Non aveva mai portato nessuno in quella casa, certamente, non che fosse mai accaduta una cosa simile, in modo da non lasciargli scelta che andava contro le sue morali. Quando tornò in salone, il tinto era in piedi davanti alla finestra, che guardava la pioggia.
Il biondo, fece una smorfia infastidita, si sedette sul divano ignorandolo, e accendendo la tv. Per fortuna, non aveva toccato mai niente da quella fatidica notte, era tutto rimasto com'era, in un certo senso era come se fosse ancora una casa confortevole, con qualcuno che ci abitasse regolarmente all'interno.
«Beh, immagino di doverti dire grazie.» Disse scocciato il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli rossi, diventati quasi neri a causa dell'acqua; se c'era una cosa che odiava era proprio quella di dire grazie. Odiava dipendere da qualcuno, dovere favori o farsi aiutare. Era sempre stato indipendente, non aveva altra scelta, vivendo con dei genitori come i suoi.
Il biondo, alza le spalle ridacchiando.
«Immagini?» Lo prese alla lettera. Lui stava sempre attento quando parlava, sceglieva le parole giuste, era sempre stato così, certe cose dette in modo diverso possono far solo male, o distruggere. Dipende tutto da come le dici, e dai termini che usi.
«Cosa ti diverte tanto?» Chiese il rosso infastidito dal comportamento dell'altro.
«A me? Non saprei, sai? Non mi diverto da molto.» Il biondo raggirò la domanda, continuando a ridacchiare, non rivolendogli nemmeno un'occhiata, e scuotendo la testa.
«Oh fanculo, appena finisce di piovere me ne vado.» Schiocca la lingua il rosso, non vedendo seriamente l'ora di andarsene.
«Certo che devi, non ti ho mica offerto un letto, ti ho solo evitato di morire sotto la pioggia e senza fiato a causa di tutte le sigarette che ti sarai fumato.» Sputò il biondo, spostando lo sguardo su di lui.
«Ce l'avrei fatta anche senza di te, non mi serve qualcuno pronto a evitarmi la morte.» E con questa risposta i due smisero di parlare fino a quando il biondo non si addormentò sul divano, e il rosso, sfilò il telecomando dalle mani di lui, approfittando del momento per occupare il tempo mentre aspettava la fine della pioggia.

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⏰ Letzte Aktualisierung: Nov 20, 2019 ⏰

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