Capitolo 4

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Venne travolto da un tornado. Lo estrassero dall'auto e lo buttarono a terra, di pancia. Gli legarono le mani dietro alla schiena, lo perquisirono, e alla fine lo spinsero sui sedili posteriori di un'altra auto. Aveva l'aria di un terribile scherzo di pessimo gusto, ma l'impressione era che non sarebbe saltato fuori nessuno a chiedergli se gli fosse piaciuto. Poco alla volta, tuttavia, riuscì a rilassarsi. Sapeva che la cosa migliore era stare tranquillo.

Pensare che i primi istanti aveva pensato si trattasse di una rapina. Infinite volte era capitato ai suoi colleghi. Finora a lui, da quel punto di vista, era andata di lusso. L'urlo 'siamo della Polizia' non l'aveva colto subito. Si era perso nella confusione dei gesti e delle parole degli agenti, comprese quelle di colui che fino a pochi secondi prima aveva preso per un lurido criminale spacciatore.

Doveva solo rimanere sereno. Ora avrebbe spiegato tutto, loro avrebbero capito, si sarebbero scusati e l'avrebbero lasciato tornare a casa. Non valeva neppure la pena di avvisare sua moglie.

L'avevano fatto accomodare in una stanza piuttosto triste, con al centro un tavolo in radica. Era piantonato a vista da un agente in divisa che teneva in braccio un fucile automatico. Misura di sicurezza davvero esagerata. Ma aveva preferito non lamentarsi, non creare problemi. Avrebbe chiarito ogni cosa durante l'interrogatorio.

Non era proprio così che si sarebbe comportata una persona con la coscienza a posto?

Aspettare gli permise di mettere in ordine le idee. Cosa avevano contro di lui? Nulla. Avevano montato un casino del genere solo perché spiava i clienti con la telecamera? Improbabile.

Comunque Lorieri dovette riconoscere che l'agente che si era finto un passeggero era stato davvero in gamba. Aveva recitato alla perfezione la parte del giovane rampollo di una famiglia mafiosa. Ci era cascato in pieno. Oramai le tecniche investigative si erano raffinate.

Possibile, allora, che avessero scoperto il segreto delle sue corse speciali?

E come? Doveva trattarsi di altro.

Comunque era sereno. Mancava ancora qualche ora alla fine del suo turno. Si sarebbe liberato in tempo per passare a fare un po' di spesa e tornare a casa in orario per la cena. Tutto sotto controllo. Come sempre.

La porta si aprì. L'agente col mitra fece un passo in dietro. Accennò un saluto con il capo a un altro agente in divisa che doveva essere un suo superiore. Gino Lorieri non conosceva il significato delle mostrine sulle spalle della giacca, ma visto quante erano, doveva trattarsi di un pezzo grosso. Aveva in mano un fascicolo spesso, che appoggiò sul tavolo al quale si sedette invitando Lorieri a fare lo stesso.

− Mi scusi per l'attesa, signor Lorieri. Allora, finalmente, eccoci qui. Ci ha fatto tribolare parecchio per trovarla.

Aveva una voce alta, avvolgente. Le dimensioni ristrette della stanza la rendevano ancora più calda.

− Vuole iniziare a spiegarmi qualcosa? Cosa diavolo si era messo in testa di fare?

− Scusi dottore, mi farebbe solo la cortesia di dirmi di cosa mi accusate esattamente?

− Direi, signor Lorieri, che prendermi in giro non è il modo più furbo per cominciare.

− Sono un tassista, a parte qualche passaggio col rosso, non ho mai infranto la legge.

− Lorieri, per favore.

Doveva resistere, non avevano scoperto nulla. Non avevano in mano alcuna prova. I kit che aveva nel taxi non erano nulla di speciale. Sacchi, teli, corde, nulla di così strano. Ovvio, nell'abitacolo c'erano lo stiletto e la mazzetta, che in effetti potevano risultare un po' insoliti, senza contare che il poliziotto glieli aveva visti alzare contro di lui. Ma questa parte avrebbe trovato il modo di giustificarla. Doveva giocare di contropiede, non perdere il controllo, attendere l'attacco nemico e rispondere a tono.

− Le ripeto che è da parecchio tempo che le stiamo dietro. Io e i miei colleghi ci siamo fatti l'idea, Lorieri, che lei si sia messo a giocare al giustiziere della notte. Mi dica: ci siamo sbagliati?

− Assurdo, cosa vi ha fatto venire questa idea?

Il poliziotto aprì la cartelletta ed estrasse dei fogli. Erano delle foto. Le dispose sul tavolo una accanto all'altra rivolte verso Lorieri.

− Queste cinque persone uccise. Le guardi bene.

Non ebbe bisogno di guardarle per capire di chi si trattava. La situazione, si disse Lorieri, era meno grave del previsto: ne mancavano parecchi all'appello. Altri sei. Già, nel suo particolare elenco il poliziotto sarebbe dovuto diventare il numero dodici. I numeri dispari non gli erano mai piaciuti. Portano sfortuna.

(continua)

Corsa specialeWhere stories live. Discover now