Deponi le armi

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« Rae? Ti fidi di me? » Mi chiese ad un tratto, spezzando il piacevole silenzio che aleggiava nella stanza. 

« Sì. » Risposi subito, senza pensarci due volte. « Sì, credo. »

« Credi? » Lo vidi sorridere.

Risi. « Sì, Alex. Mi fido di te. »

« Grandioso! Seguimi, allora.»

Si alzò dal letto su cui era sdraiato, per poi porgermi una mano.« Dove? » chiesi, aggrottando le sopracciglia. Non mi piacevano le sorprese.

« Ssh. Non fare domande. Hai detto di fidarti di me.»

« Ma...»

«Nessun ma! » Ordinò bonario, sorridendo. « Dai! »

Sospirai. « Okay, » acconsentii, « andiamo. »

Afferrai la sua mano, ancora protesa verso di me, e lo affiancai. Senza pensarci, istintivamente, sorrisi nel vedere un ampio sorriso smagliante sul suo volto ambrato, e una strana luce in quegli occhi verdi come il mare.

Con le mani ancora intrecciate l'una nell'altra, uscimmo dalla sua camera, percorremmo l'ampio e luminoso corridoio principale della casa per poi arrivare dinanzi ad una breve scala a chiocciola con gradini in vetro che portava verso l'alto, verso una stanza che, negli anni, non mi era mai stato permesso visitare.

Dopo esserci trovati davanti ad una porta in chiaro legno massiccio, Alex con destrezza tirò fuori le chiavi da una delle tasche degli skinny neri che indossava, e in poco aprì quella che, contrariamente a quanto mi aspettassi, non cigolò.

« In che posto... » iniziai, ma lo stupore mi fece fermare in fretta. Innanzi a me c'era una grande mansarda incantevole. Il tetto, in legno anch'esso, era a spiovere e la parete obliqua, quella opposta alla porta, era occupata da tre grandi finestre rettangolari, da cui proveniva il

calore di un estivo sole al tramonto. Il pavimento era quasi interamente ricoperto da un tappeto di raggi arancioni e rossi, che si stagliava su un parquet chiaro.

« Su, entra. » Mi richiamò, riportandomi con i piedi sulla terra. Infatti solo allora mi accorsi di essermi fermata, a causa della meraviglia, sul penultimo gradino.

Annuii energicamente e varcai la soglia della stanza. Quando entrai, però, vidi che le due pareti ai lati erano state interamente ricoperte da dei teli bianchi e che, a terra, in un angolo, erano stati ammassati dei barattoli di vernice e dei pennelli di varie dimensioni.

« Che cosa... ? » Chiesi, ma non mi lasciò finire. Prese le mie mani nelle sue, e puntò il suo sguardo nel mio.

« Rae, tu dici sempre di stare bene, non è così? Dici che va tutto bene e poi cambi argomento, sapendo che alla gente piace solo parlare di sé. Ma sai che con me non funziona, e, quando insisto, ti arrabbi, e mi ripeti più volte che va tutto bene. Ma io so che c'è qualcosa che ti tormenta, che ti consuma, che ti spegne lentamente. Lo leggo nei tuoi occhi, Rae. Nei tuoi splendidi occhi castani. » Mormorò.

Sorpresa, dischiusi leggermente le labbra. D'istinto provai a retrocedere di qualche passo, a scappare da lui, da quella casa, ma la sua presa salda m'impedì la fuga.

« Io... io non voglio parlare di questo. Lasciami. »

« So che non vuoi parlarmene, e va bene così. Rispetto la tua decisione, ma almeno sfogati, Rae. Non lasciare che tutto ciò che tieni dentro ti distrugga completamente. »

Gli occhi mi si inumidirono e abbassai lo sguardo affinché non se ne accorgesse, ma fu inutile: con l'indice e il medio mi aveva appena rialzato il mento, costringendomi a guardarlo negli occhi.

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