Samuel

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Se mi avessero detto che sarei arrivato a questo punto, che avrei pensato le cose che sto pensando e che mi sarei ritrovato nel luogo in cui mi trovo da circa tre ore in attesa che esca di casa, non ci avrei mai creduto.

Io? Andiamo.

Scrollo la testa e sposto lo sguardo verso il basso. Verso la camicia che scivola, disfatta, sulla pelle. Sui pantaloni stropicciati. Osservo il mio vestito sgualcito e lascio che il cellulare suoni. E suoni. E suoni. Non me ne frega un assoluto niente di chi mi cerca. A meno che non sia lei.

Tiro fuori lo smartphone dalla tasca e lo guardo. Nel momento in cui vedo che il numero non è il suo mi rendo conto di quanto fossi in pena. E di quanto stia di merda.

Il fatto che non sia lei mi fa venir voglia di lanciare questo affare oltre gli alberi nella speranza che si frantumi a terra. Il buon senso, quel poco che mi è rimasto, mi costringe a rimanere fermo. Per la prima volta da che ne abbia ricordo, tolgo il volume e lo rimetto al suo posto.

So che non mi chiamerà. Dopo quello che è successo ieri sera, dopo quello che mi ha visto fare, dopo quello che le ho lasciato credere, è chiaro che non chiamerà.

E poi non l'ha mai fatto. Sono sempre io a cercarla.

Appoggiato di schiena alla macchina, le braccia incrociate, riporto lo sguardo sul suo appartamento e aspetto. Aspetto di vederla scendere e di poterle spiegare tutto. Aspetto e spero di non leggere dolore e disgusto nei suoi occhi.

Porto le mani sul viso e le muovo su e giù un paio di volte.

Che mi è preso?

Scrollo di nuovo la testa e torno con i piedi per terra, torno con gli occhi sul portone.

Il suono della serratura che scatta mi immobilizza. Vedere lei, mi immobilizza. Chiude la porta, chiude il cancelletto e alza la testa.

Non so che impressione le faccio. Sono sveglio da 24 ore, porto addosso gli stessi vestiti che avevo ieri e ho i capelli disordinati. Ci ho passato talmente tante volte le mani che non mi aspetterei niente di diverso.

Ma l'impressione che le faccio non è importante. Perché so quale impressione fa lei su di me, ed è assurda. È come se mi risvegliasse. Come se rendesse qualunque cosa intorno a me inutile, povera, insensata. Attira la mia attenzione e mi rende l'imbecille che sono adesso. Un imbecille che non riesce a stare fermo. Che non riesce a smettere di pensare a lei. Di pensare a quanta voglia ho di lei. Di pensare a quello che provo per lei.

Posso anche piantarla di fingere. Nei suoi confronti non ha avuto senso fin dall'inizio e continuare a farlo con me stesso è la cosa più stupida che abbia prodotto in tutta la vita. Se non contiamo quello che ho combinato ieri sera, chiaro. Quella è la stronzata più grande dell'universo.

«Possiamo parlare?» domando.

Muove la testa e le spalle come se non le importasse niente.

Ignoro la sensazione che mi provoca vederla in questo stato e ritento. «Ti va un caffè?»

Ancora disinteresse.

Non voglio credere neanche per un istante che sia vero. So che non lo è. So cosa c'è.

Deve essere così. Perché se penso anche solo per un momento che potrebbe non importarle niente, che potrei aver cancellato con un gesto i due mesi che abbiamo passato insieme, credo che sarei disposto a vendere questo maledetto hotel pur di farmi perdonare. Pur di farle provare quello che provo io.

Perché sarebbe la fine. La fine di tutto.

Ogni singola cosa (premessa e primo capitolo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora